Due proposte per un Digitale (Extra)Terrestre.
Il 31-12-2006 cesseranno le trasmissioni televisive nella “ultra-cinquantennale” tecnologia analogica, se la legge attualmente in discussione sarà approvata e non subirà modifiche. La sperimentazione, come molti già sapranno, è già in corso e durerà ufficialmente (sempre secondo la legge in approvazione, salvo modifiche o proroghe) fino a Luglio 2005.
La tassativa cessazione delle trasmissioni analogiche sta costringendo gli attuali editori TV, alcuni con più fretta di altri, a convertirsi alla nuova tecnologia DTT (in breve), trasformandosi in operatori di rete (o “carrier”), e ad interrogarsi su cosa fare delle nuove caratteristiche offerte da questa tecnologia (audio e video in qualità digitale, supporto per audio Dolby, ecc.), e soprattutto dalla moltiplicazione dei canali trasmissibili; si calcola che, grazie alla compressione utilizzata nel sistema di trasmissione digitale, nelle frequenze attualmente necessarie per trasmettere un canale analogico, ce ne staranno 4 o 5 in qualità digitale.
L’eventualità, tutta da verificare, causata da questo incremento di capacità trasmissiva, è che gli editori che si sono “accaparrati”, a caro prezzo, i Multiplex (le frequenze di trasmissione), vogliano affittare le frequenze che non utilizzano ad editori “terzi”; l’effetto di questa eventualità (che sto ipotizzando io, ma per ora non è stata ipotizzata dai carrier già attivi sul DTT; Mediaset, Rai, La7 e Dfree), sarebbe che un editore che vuole diffondere i propri contenuti potrebbe farlo senza investire in infrastrutture, ma pagando un consistente canone di affitto all’operatore di rete (che non so quantificare, ma visti i costi degli investimenti in infrastrutture, in qualche modo il costo d’affitto deve portare alla copertura di queste spese).
In ogni caso si spera che l’aumento di canali trasmissibili porti anche ad un aumento dell’offerta, anche se ad oggi, a parte Dfree, gli operatori di rete sono gli stessi editori che operano sulla “vecchia” tecnologia analogica (Rai, Mediaset, La7).
Il punto è che i capitali necessari ad entrare nel mercato del DTT, come operatore di rete, sono ingenti (stimati in 1,5 miliardi di Euro), quindi saranno quasi esclusivamente le aziende già attive nel campo delle trasmissioni TV a poter sostenere un tale livello di investimenti; questo perché l’editore già attivo sull’analogico ha un “cuscinetto” costituito dagli introiti pubblicitari, che va ad attutire gli investimenti nel DTT, ed anche perché l’editore che sostanzialmente si “trasferisce” dall’analogico al digitale, ha già un pubblico consistente di utenti fedeli. Qualunque altra azienda che volesse entrare nel mercato DTT avrebbe quindi dei problemi in più, oltre agli ingenti investimenti necessari, soprattutto sulla mancanza di fedeltà degli utenti TV.
Sono abbastanza convinto, oltretutto, che l’ingresso di nuovi editori che copiano, come modello, come contenuti e come target destinatario, il modello delle tv generaliste, è destinato a fallire. C’è qualche possibilità in più se si propongono canali tematici o canali di servizio; bisogna pensare qualcosa di nuovo insomma, ma mi sembra che la Rai per ora sia l’unica che lo sta facendo (Rai Doc e Rai Utile), anche se per giudicare aspetto di vedere cosa ne esce, dal momento che non c’è niente di definitivo, nemmeno il nome di queste due nuove reti.
Quindi, sul fronte dell’incremento dell’offerta, siamo di fronte ad una tecnologia che, pur permettendo più canali di quelli oggi possibili, molto probabilmente troverà nel mercato (in particolare nella domanda), il più grosso ostacolo all’aumento della “pluralità” di editori TV.
Come evitare quindi il rischio concreto di una “blindatura” del mercato, con pochi editori/operatori di rete che controllano la rete di trasmissione, ed eventualmente affittano le frequenze che loro non utilizzano ad altri editori che ne sono sprovvisti?
Sono possibili, secondo me, due strade per incrementare l’offerta e la possibilità di accesso alle trasmissioni TV per aziende private ed enti pubblici/no-profit. Nelle righe seguenti proverò ad essere propositivo, con una prima proposta più realistica, e con una seconda più “utopica”.
Proposta 1 - Il finanziamento
Per favorire l’ingresso di nuovi editori, io destinerei gli incentivi ad imprese (o ad idee imprenditoriali) destinate a sfruttare le nuove caratteristiche introdotte dal DTT e ad accrescerne l’offerta in termini di contenuti, anzichè finanziare l’acquisto dei decoder (oltretutto con la politica scellerata di vendere dei decoder per un servizio in gran parte indisponibile, generando arrabbiature e delusioni negli utenti, nonché una sensazione di “fregatura”).
Il finanziamento dei decoder a scapito, o comunque dimenticandosi totalmente dei contenuti che questi decoder dovranno permettere di fruire, è un errore enorme da parte del governo, perché senza contenuti non ci può essere una vera domanda, che per ora è una domanda resa artificiale dagli incentivi statali. Il miglior modo per incentivare la rapida adozione dei decoder DTT è quindi quello di favorire da subito l’incremento reale dell’offerta, finanziando i contenuti, spostando le somme stanziate per l’incentivo sull’acquisto dei decoder verso il finanziamento di produttori/editori che desiderano proporre nuovi servizi e contenuti per il DTT; non basta parlare di/promettere nuovi servizi e nuovi canali che ancora non ci sono (la parola giusta è propagandare, dal momento che l’incremento di offerta attualmente consiste in canali secondari e oltretutto già presenti sul satellite), bisogna farli! (o finanziare chi li vorrebbe fare).
Proposta 2 - Un Multiplex ad accesso pubblico
Per favorire l’ingresso di nuovi editori, o più propriamente, per favorire il pluralismo, propongo che si approfitti della abbondanza di canali che il DTT (rispetto all’analogico) sembra consentire, per creare un Multiplex ad accesso pubblico, sul modello dei canali ad accesso pubblico presenti in Olanda.
L’esperienza olandese ha visto la nascita di canali via cavo (l’Olanda è coperta al 90% dal cavo TV) liberamente accessibili per chiunque (editori, sviluppatori di contenuti) voglia trasmettere materiali o trasmissioni create in proprio. Ne risulta quindi un libero spazio dedicato alla creatività ed alla sperimentazione di “formati”, senza controlli (e tanto meno censure) sui contenuti, nonché totale libertà anche dagli investitori commerciali e dall’obiettivo del profitto (che a mio avviso è una condizione importante per sviluppare la creatività, parecchio latente in Italia, nello sviluppo di nuovi contenuti e nuovi linguaggi televisivi).
Questi canali ad accesso pubblico, in Olanda, sono nati su iniziativa statale, ma su spinta “popolare”; negli anni ‘80 gruppi di “pirati” entravano illegalmente nelle trasmissioni TV, diffondendo i loro contenuti, principalmente di “video-art”. Lo Stato olandese ha deciso (è stato in un certo senso costretto, per far terminare le attività di “hacking” della TV via cavo), di offrire canali ad accesso pubblico che rispondessero a questa volontà di comunicare; naturalmente negli anni la qualità di questi canali si è accresciuta, arrivando a proporre formati di tutti i generi, dall’informazione ai talk-show, alla copertura mediatica di eventi locali ed internazionali.
(per informazioni: Olon - Confederazione delle radio e televisioni pubbliche olandesi via cavo e via etere, e Salto - Consorzio dei canali radio-tv di Amsterdam). Esperienze analoghe sono presenti anche in Germania, nelle principali città (l’esperienza più interessante è a Berlino), in Austria ed in Svezia.
In Italia non c’è una spinta popolare all’accesso al broadcasting, almeno non forte come quella olandese degli anni ‘80, anche se non manca il fenomeno, ormai non più secondario, delle TV di strada che trasmettono nei coni d’ombra delle frequenze concesse agli altri editori, e che contano ormai qualche centinaia di “trasmettitori” diffusi su tutto il territorio nazionale, supportati nella loro attività da un network di creatori e distributori di contenuti (naturalmente a titolo totalmente gratuito), che fa capo a New Global Vision.
Credo quindi che se anche in Italia si dovessero replicare le esperienze nord-europee iniziate in Olanda, sarebbe necessario in ogni caso qualche anno perché si sviluppi un pieno utilizzo di questa possibilità da parte di editori privati, sviluppatori di contenuti, enti no-profit, eccetera, ma ciò accadrebbe inevitabilmente; il “fermento” in questo senso è già presente, e sono convinto che i canali ad accesso pubblico potrebbero anche costituire, in parte, un laboratorio spontaneo per la creazione di nuovi formati (con possibili sviluppi commerciali/profittevoli), grandemente più efficace (e non me ne vogliano) di qualsiasi Endemol, Magnolia, & co.
Come si dice in questi casi, “just my 2 cents”, per cercare di avere un vero sviluppo del broadcast in Italia (a prescindere quindi dal DTT o meno, ma tentando di approfittare di questa innovazione), fin troppo asfissiato dall’oligopolio “bicefalo” (ma a me sembra “acefalo”, almeno nella qualità del prodotto finale) che in molti vorrebbero mantenere invariato.
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