La tv partecipativa
Qualche giorno fa ho pubblicato uno scritto in tema di tv (link), nel quale auspicavo, in coincidenza dell’introduzione della tecnologia Digitale Terrestre, l’istituzione di uno o più canali ad accesso pubblico destinati a trasmettere i contenuti prodotti da privati cittadini, enti no-profit, o realtà in ogni caso indipendenti dalle emittenti cosiddette “commerciali”. L’obiettivo è quello che è facile immaginare: abbattere il duopolio asfittico dei “broadcast media” italiani che, come ho spiegato sempre nel precedente articolo, nemmeno il DTT garantisce di rimuovere, a causa di motivazioni di ordine principalmente economico, che fanno sì che solo grandi investitori possano accedere alle trasmissioni digitali.
Esiste anche un’altra via per raggiungere l’obiettivo di aumentare l’offerta televisiva, via della quale, ammetto, non ero a conoscenza. La potrei definire “tv partecipativa”, o “tv ad azionariato collettivo”. Il principio è semplice: un canale televisivo si fa finanziare, tramite sottoscrizioni, dal suo pubblico, che con questa azione di finanziamento acquisisce un potere di influenza sulle scelte dell’editore (come un’azionista per un’azienda). Questo “modello televisivo” è applicato in USA da Thirteen Channel di New York, ed in Italia da Nessuno Tv; quest’ultima iniziativa è stata lanciata da Bruno Pellegrini, ex-direttore Marketing e Contenuti di Jumpy, e come emerge in questa recensione, si propone di diventare una realtà produttrice di contenuti non solo per la tv, ma “multi-piattaforma” (radio, web, contenuti per video-telefonia mobile). Si spera che la cosa vada avanti, e che la scelta di adottare il modello “partecipativo” non sia solo un modo per far parlare di sé, ma una scelta che possa davvero sviluppare un modello dilagante di partecipazione alla “creazione dei media, dei contenuti e dei linguaggi”.
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6 aprile 2004 @ 12:07
Per quanto mi riguarda, pur non potendo parlare al posto dei creatori di Nessuno TV, penso che il modello di “partecipazione popolare” come loro lo intendono faccia tendenzialmente (ma non totalmente) coincidere il pubblico fruitore con il pubblico di creatori/influenzatori sui palinsesti della tv. Da questo punto di vista il modello delle televisioni di strada è ancora più dirompente, a causa dell’estrema riduzione del raggio di trasmissioni (non a caso le chiamano anche tv di quartiere), perché con questi modello la tv diventa uno strumento di sviluppo legame sociale di una comunità, con uno scambio culturale continuo tra chi fa la tv e chi la vede, ben diverso dal modello delle tv a copertura nazionale.
Per ritornare a Nessuno tv, è evidente che si tratta di una iniziativa nata per diventare un “content developer” non solo per la tv ma anche per, ad esempio, i video-telefonini, quindi in questo senso sarà inevitabile che essi vorranno guardare anche al gradimento del pubblico “non-azionista”, considerando anche che il finanziamento spontaneo proveniente dal pubblico non potrà mai finanziare interamente la gestione dell’iniziativa. (ma detto tra noi, magari anche le tv generaliste nazionali guardassero, come accadeva qualche anno fa in Rai, l’indice di gradimento per decidere i loro palinsesti, anziché i dati Auditel).
26 maggio 2004 @ 14:44
Non credo che la partecipazione di una parte del pubblico, così come propone il nostro progetto Nessuno, potrà mai identificare quello che (tutta) la popolazione realmente vuole. Potrà però coprire quegli spazi di programmazione attualmente lasciati vuoti dai palinsesti delle tv commerciali (e anche della rai) lanciate all’inseguimento dell’auditel. E in questo modo garantire un minimo di pluralismo. Non ci sarebbe ragione di investire 50 euro per fare quello che altri già fanno. C’è, forse, una ragione per impegnarsi a sviluppare una televisione che inviti alla riflessione, stimoli la critica e sia aperta a diversi punti di vista. Una televisione che attualmente non mi sembra esserci e che “nessuno” vuole fare.
14 maggio 2005 @ 03:53
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