Una considerazione su…quelle che si chiamavano Web Agency
La mia percezione, nata dall’osservazione diretta e dalla conduzione di colloqui (per candidature professionali, ma anche colloqui informali) con i proprietari/direttori/quadri delle web agency (ora dette: società di consulenza per lo sviluppo dell’e-business e del posizionamento strategico delle aziende su Internet) sopravvissute dopo il biennio 2001-2002 (perché in Italia la chiusura delle realtà dot-com ha iniziato ad essere “seria” dal 2001, con qualche ritardo sugli USA), è che alcune di queste piccole società (sotto ai 50 dipendenti), non sfruttano la loro snellezza organizzativa per essere fortemente creative ed innovative, utilizzando strumenti e risorse per analizzare il mercato e conoscere i bisogni dei propri clienti potenziali.
Alcune, forse troppe, di queste realtà basano la loro attività unicamente sulla bravura dei project manager (che non guasta mai, intendiamoci), e sulla creatività di partenza (intesa come capacità di innovare) dei loro fondatori (nella maggior parte dei casi ingegneri informatici).
In altri termini, quello che ho potuto rilevare in alcune di queste società è la svalutazione per ogni tipo di figura professionale che abbia come propria mission quella di occuparsi di aspetti strategici sia per la società stessa, sia per lavorare alla consulenza strategica sui progetti di e-business sviluppati per le aziende-clienti; sembra quasi che un consulente strategico od un esperto di marketing sia percepito come un inutile “fuffarolo”, del quale si può fare a meno (che può andar bene nel contesto di una barzelletta, molto meno se lo si pensa veramente). E questo tra l’altro si riflette anche sulla componente retributiva…non per essere veniale, ma per dovere di cronaca va detto anche questo.
Insomma, mi sembra di veder riproposta la “filosofia” di alcune PMI, che basano la loro nascita e lo sviluppo iniziale su un’intuizione felice, ma che non fanno nulla per far sì che le loro strategie stiano al passo coi tempi, minando così la loro stessa possibilità di esistere; mi dispiace veramente dover constatare che sono pochi i creatori di imprese tecnologiche innovative che sono in grado di affiancare all’approccio ingegneristico (che va benissimo) una capacità di visione strategica ed orientata al mercato…e per fortuna mi posso “vantare” (ma non so se egli fa altrettanto ;) ) di aver lavorato con uno di questi, che da tempo immemorabile si fa chiamare Gpoc.
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12 maggio 2004 @ 11:30
“..dei loro fondatori (nella maggior parte dei casi ingegneri informatici).”
Ah si? E dove trovi i dati per dire che “nella maggior parte dei casi” si tratta di ingegneri informatici?
12 maggio 2004 @ 11:58
Beh, ho scritto “La mia percezione, nata dall’osservazione diretta e dalla conduzione di colloqui…”, comunque è vero, non sono solo ingegneri informatici ma anche laureati in Scienze dell’Informazione. Mi sembra finanche ovvio che un’impresa tecnologica venga fondata, soprattutto se la sua nascita è basata sullo sviluppo di soluzioni innovative, da coloro che queste soluzioni le hanno ideate, magari quando ancora erano studenti universitari. Non vorrei dover cadere in un’inutile polemica, ed anche se mi sembra un pò inutile dover specificare una cosa che è chiarissima, il mio intervento non intende sminuire una categoria che invece apprezzo per la capacità di innovare e per l’approccio scientifico e basato sulla ricerca e sviluppo; la mia osservazione riguardava esclusivamente la diffidenza che talvolta alcuni hanno nei confronti degli uomini di marketing, che è un fatto conclamato ed accettabile all’interno delle PMI (che richiedono uno sforzo in termini di educazione, prima di poter lavorare con loro), ma meno accettabile all’interno di imprese che si basano sull’innovazione e sui servizi alle imprese.
12 maggio 2004 @ 21:44
Oggi ho avuto un altro incontro costruttivo in merito al tema dell’opinione che ho scritto. Ho incontrato il fondatore (insieme ad altre due persone) di una società che, pur operando nel settore Internet, non solo è sopravvissuta al 2001, ma quest’anno raggiunge quello che probabilmente è un record di longevità nel suo settore (…e massimo rispetto per questo risultato). Non farò il nome di questa società per questioni di riservatezza. Colloquiando con questa persona è emerso che gli uomini di marketing, e le persone che in genere si dedicano al “pensiero strategico”, sono percepite come poco produttive perché effettivamente alcuni di questi lo sono, ovvero hanno “la puzza sotto il naso” (terminologia testuale, ed efficace, del mio interlocutore) rispetto ad alcune mansioni collaterali al marketing, come il supporto alle vendite, la vendita stessa, la comunicazione e il mantenimento di rapporti diretti con i clienti. Beh…che dire, in tali casi la diffidenza verso gli uomini di marketing è giustificata; mi viene in mente che questo tipo di individui possono essere:
a- demotivati per qualche motivo, o che possono aver poca voglia di fare a prescindere dal fatto che siano markettari: e qui c’è poco da aggiungere;
b- persone inadatte al contesto lavorativo delle società di servizi medio-piccole: essi sono probabilmente più adatti al contesto lavorativo di grandi aziende, dove la grande dimensione consente l’esistenza di figure strategiche (uomini di marketing) molto specialistiche e che possono benissimo lavorare senza sconfinare in altri territori a loro poco graditi. Anche se…questo è possibile solo in parte, nel senso che nelle grandi aziende, prima di approdare ad un ruolo caratterizzato da mansioni ben definite, ci si trova ad essere spostati in diverse aree funzionali, partendo di solito proprio dal commerciale, per poter così apprendere delle nozioni dirette sulle specificità del mercato dell’azienda.
Io personalmente, nonostante mi ritenga una persona propensa a ruoli di strategia e marketing, riconosco che la possibilità di sconfinare in mansioni collaterali al marketing (ruoli commerciali, di gestione della relazione con il cliente, ecc…) è utile sia per conoscere meglio il cliente della società (e questo è molto utile ai fini delle attività di marketing), ed anche per rompere la routine di un lavoro che alla lunga diverrebbe monotono. Cerco insomma di non mettermi su di un trono e di non fare lo schizzinoso, perché mi piace occuparmi di una molteplicità di attività; pertanto ritengo che possibilità di questo genere siano cose di valore, assolutamente da cogliere.
20 maggio 2004 @ 10:13
ciao,
sinceramente dal titolo speravo che la discussione fosse un po’ diversa e in particolare cercasse di farsi una domanda e darsi una risposta (lo so che non è il blog di Marzullo…) e la domanda è questa: servono le web agencies?
chiediamocelo, perchè credo che essendo mutate le esigenze (i clienti non vogliono più “il sito” ma usare il web per scopi di business reali, cioè che portano soldi) credo che la formula delle wa fondate da “ingegneri informatici” sia molto fuori moda e invece il modello adesso sia quello di agenzie “tradizionali” che usano internet come uno strumento aggiuntivo nell’ambito di progetti il cui focus sono appunto gli obiettivi di business.
mi riferisco quindi ad agenzie di marketing diretto e operativo, di promozioni (concorsi, attività instore, etc.) che per mission supportano i loro clienti ad ottenere risultati misurabili.
e poi un’altra considerazione: non sarebbe ora di finirla di definire internet come “nuovo”, “diverso”, “specifico”, etc.? internet c’è, punto, la genete che va su internet è la stessa che guarda la tv, fa la spesa nei supermercati, etc.; inoltre continuare a menarla con queste pippe non fa altro che allontanare internet dalla testa e dalla quotidianità dei vari direttori marketing, brand manager, etc.
personalmente credo che la strada sia questa: meno siti e più pensiero di marketing.
ciao
andrea
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