Wal*Mart: autobiografia di un impero
Con il favore del weekend lungo, ho finalmente trovato il tempo di dedicarmi ad una lettura estremamente interessante; Made In America, autobiografia di Sam Walton, fondatore della catena Wal*Mart (lo trovi su Amazon.co.uk)
Il libro racconta, in modo leggero e godibile, l’ascesa dell’uomo, e dell’impresa, dal primo supermercato aperto nel 1962, a Rogers nell’Arkansas, fino all’inizio degli anni ‘90 ed all’affermazione di Wal*Mart come la più grande catena di supermercati sia in termini di negozi aperti sia in termini di fatturato. Un percorso di vita che passando attraverso l’epopea da pionieri del discount, la prima lenta espansione a livello geografico, arriva fino alla quotazione in borsa nei primi anni settanta e si conclude con l’esplosione negli anni ‘80 del modello Wall*Mart in tutti gli USA.
Walton descrive la nascita della strategia, rivelatasi vincente, di dedicarsi ai piccoli centri ed alle aree suburbane, il suo rapporto con i dipendenti, che ancora oggi i suoi eredi chiamano “associates” per marcare il rapporto di partnership tra lavoratore ed azienda, e poi il ruolo delle riunioni del sabato mattina come punto fondamentale di incontro, confronto e fine-tuning di tutta la struttura.
Ma il libro va anche oltre provando a tracciare una checklist per realizzare, indipendentemente dal settore di interesse, un impresa di successo; Walton parla di passione, voglia di sperimentare strade inesplorate e cura del cliente (che si traduce in controllo dei costi fino al singolo dollaro) come i pilastri su cui fondare qualsiasi impresa che abbia ambizione di durare e crescere nel tempo.
Oggi, a più di dodici anni dalla scomparsa di Walton, l’espansione del modello continua oltre i confini USA con centinaia di supermercati sparsi tra Sud America, Europa (Germania e Uk) e, negli ultimi anni, Cina (il 40° supermercato è stato aperto proprio questa settimana) confermando Wal*Mart come la più grande azienda privata al mondo.
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3 novembre 2004 @ 14:42
Wal Mart ha negli Usa una forza lavoro di 1 milione di persone (su 138 milioni di occupati totali); il suo punto di forza? Qualunque cosa costa meno che altrove.
Come raggiunge ciò? Grazie a salari sotto la media del settore…non di certo grazie ad incrementi di efficienza (sia mai).
Wal Mart in Usa ha migliaia di cause in corso per mancato pagamento di straordinari e una causa collettiva per discriminazione delle donne sul luogo di lavoro; non saranno di certo tutte cause pretestuose….e meno male che in Wal Mart il lavoratore è chiamato “associate”…ma per stabilire un rapporto positivo penso ci voglia ben altro.
E’ opinione diffusa (ma questo in un libro autobiografico ed autocelebrativo non si può dire) che il “modello Wal Mart” è esploso negli Usa annichilendo il mercato ed impoverendo le comunità dove si è andato ad insediare (e danneggiando la distribuzione già esistente oltreche tirando letteralmente il collo ai fornitori di merci). Direi anzi…più che un opinione è un fatto rilevato puntualmente là dove Wal Mart si è insediata.
Un giornalista del Financial Times si chiede, in un suo articolo di qualche mese fa:
“America has been good to Wal-Mart[...] But is Wal-Mart good for America?”
Chiaramente qualcuno può anche sostenere che se Wal Mart abbassa il reddito medio della comunità dove si insedia contemporaneamente ne abbassa il livello dei prezzi. Ma non sono certo, anzi vedo abbastanza difficile, che questo “effetto Wal Mart” vada a compensare equamente ciò che viene tolto dal reddito di qualche migliaio di persone e il danno ai commercianti pre-esistenti. E anche se fosse, perché lasciar compromettere le economie locali per un effetto a somma zero (escludendo l’arricchimento personale di Walton e discendenti).
E poi…non mi piacciono i libri dove l’autore “se la canta e se la suona”. :)
3 novembre 2004 @ 15:46
sono commosso :) Quindi, per farla breve, Wal*Mart è il demonio; un dracula che si è nutrito per anni succhiando il sangue delle comunità in cui si è insediata calpestando, per profitto, i diritti minimi dei suoi lavoratori.
E … perchè la gente continua a lavorare per loro? E perchè le piccole comunità americane, che sanno far sentire la loro voce, non li buttano fuori dalla loro contea? Hai dei dati per affermare quello che dici sull’impoverimento?
Per aggiornare la tua lista puoi trovate qui (http://www.nytimes.com/2004/11/01/business/01health.html) un articolo sulle ultime critiche/cause legali, verso Wal*Mart per la sua gestione delle assicurazioni sanitarie per i dipendenti; non è la prima battaglia legale, non sarà certo l’ultima. Se si considera il numero di dipendenti a livello globale arrivo a dire che si tratta forse di una percentuale “fisiologica” che fa più rumore per il solo fatto di avere un unica azienda come controparte.
Quindi, tutto vero, o verosimile; tuttavia, forse l’ho dato per scontato, si tratta solo di una autobiografia, sicuramente edulcorata, ma tuttavia interessante visto il DATO DI FATTO di quello che quest’uomo, partendo da un singolo supermercato, ha creato.
Non lo consiglio certo come bibbia del management, ma come autobiografia di un uomo di business trovo che sia davvero un libro da leggere.
Detto questo, vale sempre il primo diritto di ogni lettore. Il diritto di NON leggere :)
4 novembre 2004 @ 12:18
Ho parlato di Wal Mart che impoverisce i luoghi dove si va ad insediare, e non l’ho fatto a caso.
Ad esempio uno studio della University of California di Berkeley evidenzia che i lavoratori di Wal-Mart percepiscono un salario inferiore in media del 31% rispetto alla media degli stipendi negli altri grandi retailer; lo studio evidenzia anche, ed è questo il fatto più importante, che i lavoratori di Wal Mart ricorrono in percentuale significativamente superiore rispetto ai lavoratori di altri grandi retailer alla “taxpayer funded health care” (sanità finanziata dalle tasse) e ad altre forme di sussistenza pubblica, facendo crescere il fabbisogno fiscale dello stato (cioè più prelievo fiscale).
Insomma, leggendo questo studio ne risulta che dove Wal-Mart è presente i lavoratori prendono stipendi notevolmente inferiori e i costi di queste politiche ricadono sulla comunità.
Qui un riassunto dello studio.
Qui lo studio completo (pdf).
Qui le contestazioni di Wal Mart con le risposte dello staff di UC Berkeley che ha condotto la ricerca (pdf).
Insomma, i problemi di cui ho parlato sono, come anche tu alla fine dici, veri, fisiologici o meno cambia poco, mi sembrava il caso di sottolinearli.
Chiedi a me perché la gente continua a lavorare per loro? Io ho una opinione, ma bisognerebbe chiederlo a loro. Poi il fatto che lavorino per Wal Mart non significa automaticamente che siano contenti di farlo. Forse, anche visti i problemi di occupazione degli ultimi anni, non hanno molte alternative valide.
Perchè le comunità non si ribellano? Beh, le proteste ci sono e sono molto vivaci, ma spessissimo inascoltate da chi di dovere…ipotizzo perché Wal-Mart è un grande finanziatore di gruppi politici.
Guarda…a me non interessa un discorso di demonizzazione generale delle grandi corporation (anche se pressoché ogni corporation di cui vado ad esaminare il comportamento etico presenta delle questioni), ma quando una corporation raccoglie ostilità non posso fare a meno di pormi qualche dubbio…mi sembra il minimo. E se sento parlare di un libro che riporta tesi parziali, mi sembra il caso di commentare con le cose che il libro non dice. Forse la chiave del successo di Wal-Mart risiede anche nelle politiche di cui il libro non parla.
Un link interessante: The Wal-Mart litigation project.
4 novembre 2004 @ 14:08
ti ringrazio per i link, davvero interessanti.
5 novembre 2004 @ 13:02
Bel post, bei commenti. Bravi… :-)
16 novembre 2004 @ 10:25
Hanno appena aperto un centro commerciale (con oltre 40 negozi) a 500 metri dal paese in cui abito (prov. sud di Milano). Tra l’altro la stessa area offriva già 2 supermercati e altri negozi (abbigliamento, fai da te, mobili, sport, ecc ecc)
Credo che fra 6 mesi il 50 % dei negozi del mio paese falliranno..
16 novembre 2004 @ 14:18
Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!!! :) ma fare invece un salto da quei negozianti “storici” e proporre loro qualche idea per non fallire?
3 dicembre 2004 @ 13:56
“E … perchè la gente continua a lavorare per loro?”
Azzardo un’ipotesi ardita: forse perché non hanno scelta, alla faccia del mercato pseudo-libero?
3 dicembre 2004 @ 14:01
“Chiaramente qualcuno può anche sostenere che se Wal Mart abbassa il reddito medio della comunità dove si insedia contemporaneamente ne abbassa il livello dei prezzi”
La questione mi pare più semplice: fra vendere un chilo di carne di prima scelta a, mettiamo, trenta dollari a dieci persone e venderne due quintali di seconda a 90 centesimi il chilo a cinquemila clienti, il dilemma non si pone: chi mangia bene alla fine sono le dieci persone, fra le quali ci saranno sicuramente numerosi componenti della famiglia Walton. Diciamo che fra alimentazione umana e animale, negli Stati Uniti, ma anche in Italia, le differenze iniziano a essere un po’ meno percepibili. E’ li che Wal-Mart si incastra come un picchio. Vi sconsiglio di prenderlo a esempio: spendete meno ma la carne con tutta quella ciccia e qui nervi è così difficile da masticare e digerire…
19 marzo 2005 @ 14:07
Qualcuno sa qualcosa del codice etico imposto dalla wal Mart in germania? vorrei tanto poterlo leggere integralmente..
Grazie
19 marzo 2005 @ 20:20
Hanno recentmente pubblicato un articolo a proposito
http://www.dw-world.de/dw/article/0,1564,1519102,00.html
21 marzo 2005 @ 00:26
Grazie Maurizio, in aggiunta egnalo questo link ..che risponde a “E … perchè la gente continua a lavorare per loro?”
http://dialoginternational.typepad.com/dialog_international/2005/02/walmart_germany.html
buona settimana a tutti!
14 maggio 2005 @ 00:16
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