A cosa serve avere sempre ragione?
Le aziende come i privati quando ritengono di avere ragione in una disputa, ricorrono agli avvocati e vanno in tribunale. Tutti voi ricorderete la vicenda di Luca Armani di Treviglio titolare di un “negozio di timbri” che aveva registrato il dominio www.armani.it provocando l’inizio di una battaglia legale con la nota omonima azienda milanese. Dopo diversi anni di aspra lotta e tentativi di resistenza , tra i nuovi Davide e Golia della rete, nonostante l’intervento di un senatore della Repubblica e l’appoggio da parte di tantissimi utenti della rete, la vicenda si è conclusa con la cessione del dominio conteso da parte di Luca Armani alla blasonata casa di moda con grande disappunto di tante persone che si erano schierate a fianco del piccolo imprenditore lombardo.
Non sono un giurista e non posso e non voglio intervenire sulla vicenda giudiziaria, ma come Paolo Attivissimo, mi chiedo se era necessario arrivare ai tribunali quando si poteva risolvere il problema consensualmente. Guardate come è stato risolto il problema per il dominio Firefox da parte di diversi contendenti.
Sicuramente le diverse persone che si sono schierate a fianco di Luca Armani, non sono e non saranno mai clienti della Giorgio Armani, che ha avuto probabilmente quanto le spettava di diritto. Mi chiedo però se ai fini della valorizzazione di un brand, sia sempre utile avere ragione?
Nessun post simile.
5 marzo 2005 @ 09:59
A mio parere, sulla famosa vicenda Armani, ci sono dei punti deboli nelle tesi di entrambe le parti: 1) il timbrificio Armani ha “indubbiamente” comprato il dominio armani.it per sfruttare la notorietà di un marchio non suo (e sono d’accordo con le tesi di Attivissim qui), ma non per poi rivenderlo alla Giorgio Armani - 2) la nota casa di moda non si è fatta una gran bella pubblicità con il suo accanimento e soprattutto con la richiesta di risarcimento di 300.000 € (che per fortuna non è stata soddisfatta).
Mi sembra però lecito pensare che la Giorgio Armani abbia a suo tempo contattato il sig. Luca Armani per arrivare a un equo accordo, ma i colloqui non sono andati a buon fine, per colpa di una delle due parti.
E’ indubbio che una soluzione alla Firefox, che definirei estremamente elegante e in linea anche con la collezione autunno-inverno 2004/2005, sarebbe andata a giovamento sia di Luca che di Giorgio.
Ma non dimentichiamo che le premesse che sottostanno all’approccio dei due marchi sono molto differenti: Firefox è un progetto che fonda la sua esistenza sulla cooperazione e sulla condivisione di un approccio allo sviluppo e alla diffusione del software aperto e libero da costrizioni. Giorgio Armani è uno stilista-businessman che disegna e vende vestiti di classe.
L’audience dei due siti è, credo, estremamente differente.
Il navigatore che cerca “Firefox” in Internet e vede la pagina del dominio omonimo pensa:”Ma quanto son ganzi questi, sia il Firefox che Kelly. Hanno condiviso il dominio, proprio nello spirito di firefox”.
Il navigatore che digita http://www.armani.it e si vede una pagina che punta alla casa di moda e a un timbrificio dice:”Ma quant’è sfigato Giorgio Armani. Non è proprio capace di utilizzare Internet e deve condividere il dominio con un timbrificio di Treviglio. Bah!”
In conclusione (forse) non credo che il pubblico della GA (e forse il pubblico in genere) sia abbastanza “preparato” per comprendere un approccio alla Firefox, e credo che anche gli avvocati dello stilista e il giudice di Bergamo non abbiano nemmeno preso in considerazione la proposta per il medesimo motivo.
A questo punto ci sarebbe da chiedersi: ma non è forse l’ora di prepararlo questo pubblico? E Giorgio Armani risponderebbe:”Certo, ma devo proprio cominciare io?”
E’ quindi probabile che prima o poi il “metodo Firefox” si diffonderà, ma la spinta deriverà da entità che sono nate su Internet o che hanno fatto di Internet la propria prima casa, non certo da chi fa un business attraverso canali più tradizionali.
5 marzo 2005 @ 12:57
Stefano hai certamente ragione, l’esempio di Firefox non va preso alla lettera per le ragioni che ben spiegavi tu. Non volevo neanche entrare nella vicenda perché è stata gestita male da entrambe le parti e sicuramente un accordo si sarebbe potuto e dovuto ricercare in via extra giudiziaria. Forse non sai che nel 1997 come vice presidente dell’associazione della comunicazione interattiva, ho inviato un fax alla Giorgio Armani, facendo loro presente che cominciavano a venire registrati diversi domini “Armani” e che loro avrebbero dovuto cominciare a pensare alla rete. Questo perché Armani a mio parere rappresentava e rappresenta tuttora un prestigioso marchio italiano. Ovviamente il mio avvertimento non è stato preso in considerazione. Obiettivo oggi del mio post al di là della vicenda e porre l’accento sul brand e di come si possa intenderne il concetto. Personalmente ritengo che non si debba solo dire quello che si è, ma anche essere quello che si dice di essere. Visto che la Giorgio Armani è simbolo di stile, mi sarei aspettato una gestione della vicenda dominio secondo i canoni dello “stile”.
5 marzo 2005 @ 13:24
Sicuramente Luca Armani è testardo, lui ritiene a torto o a ragione di essere nel giusto.
Continua la sua battaglia ad esempio con il sito http://www.armani2.it/
Mi chiedo quindi se era necessario arrivare fino a qui? Con un po’ di dialogo in più ed un maggiore ascolto tante aziende ne trarrebbero un gran beneficio.
7 marzo 2005 @ 09:57
la risoluzione della cosa applicata da Firefox è semplicemente grandiosa, ma al di là delle ragioni espresse da Bonacina, che mi trovano peraltro molto d’accordo, il problema è che in Italia questa mentalità non esiste, e questo è un fatto. può sembrare qualunquista, ma purtroppo non credo che nessuno in Italia sarebbe disposto a cedere il proprio dominio così
7 marzo 2005 @ 10:51
Non si tratta di essere generosi ma lungimiranti, pensate al ritorno di popolarità per essersi legati a Firefox, pensate al valore del traffico generato per un brand che ha lo stesso nome ma non la stessa popolarità del nuovo browser, pensate al legame con la cultura dell’open source. Ribadisco, l’esempio non va preso alla lettera, ma è davvero emblematico per una “nuova cultura del marketing”
7 marzo 2005 @ 11:59
Per un errore il post a firma Matteo è mio, me ne assumo quindi la responsabilità :)
7 marzo 2005 @ 14:28
Ecco un altro caso fresco fresco di pubblicazione: Gente.it - La Rusconi ottiene il dominio in tribunale
http://www.itnews.it/news/2005,707,hp,0301,,,115930.html
In ogni caso, credo che il problema non sia solo italiano, ma globale (fate una ricerca su Google con le parole “internet domain lawsuit” per trovare solo quelle dei paesi anglofoni oppure guardate su dmoz.org: http://dmoz.org/Computers/Internet/Domain_Names/Disputed_Domain_Names/) e auspico che la “risoluzione Firefox” diventi un esempio di come si possa fare marketing con la conciliazione e senza fare la voce grossa
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