Il futuro dei contenuti video person to person
Ho riportato su un mio post precedente la notizia del progetto di Google relativo alla richiesta di sottomissione di contenuti personali video. Questa notizia per essere meglio compresa deve essere analizzata in un contesto più ampio. Facciamo quindi un passo indietro. E’ risaputo che a livello internazionale le diverse Telcos, si stanno buttando sull’iptv per cercare di incrementare l’arpu, poiché vi è una tendenza generale all’abbattimento dei prezzi nel mercato delle connessioni in larga banda. Come molti istituti di ricerca fanno notare, con tassi di crescita estremamente elevati, la broadband tv potrà in breve costituire un competitor temibile per i broadcaster che operano sul satellite e sul DTT, almeno così appare sulla carta.
La realtà dei fatti è diversa, il fattore critico di successo per ogni progetto di Iptv, è la disponibilità di contenuti e servizi ad alto valore aggiunto, in grado di spingere gli utenti a pagare. Nella maggior parte dei casi, contenuti premium come sport, cinema ed eventi musicali hanno un elevato costo, ma questo sarebbe il minore dei problemi, visto che molti deal vedono i content provider partner delle telcos in una logica di revenue sharing. Il problema che sta sorgendo ora negli Stati Uniti è che alcune major come Walt Disney temono che l’Iptv non sia da considerare come un mercato aggiuntivo, ma che possa cannibalizzare le vendite ed il noleggio dei DVD, loro principale fonte di revenue come rileva l’articolo di Business Week. Questo atteggiamento ambivalente da parte di alcune majors, potrebbe de facto, rallentare l’espansione dei progetti di Iptv. Ecco perché la maggior parte delle Telcos, nel momento in cui sta lavorando sui palinsesti, sta oggi guardando a fonti alternative di approvvigionamento di contenuti, stipulando partnership con produttori indipendenti per contenuti creati ad hoc, o pacchettizzando in diversi modi format televisivi come il reality che si possono vedere anche sulla televisione free to air. Fattore critico di successo di ogni progetto di Iptv, come si diceva, è la disponibilità di una library molto vasta di contenuti da poter erogare on demand. Se quelli validi sono scarsi e costosi, ma in più di difficile reperibilità,
appare comprensibile la corsa ai ai contenuti person to person con tutti i rischi che questa scelta può comportare. Ancora una volta Google ha anticipato i tempi muovendosi per prima su questo fronte su larga scala. Ecco perché ritengo che di contenuti peer to peer ne sentiremo parlare ben presto.
Anche di questo si discuterà al prossimo Miptv a Cannes. Restate sintonizzati vi riporterò a breve le ultimissime novità dalla riviera.
Nessun post simile.
8 aprile 2005 @ 19:51
L’articolo e’ decisamente interessante. Ma ho alcune obiezioni di carattere linguistico. Perche’ usi tutti questi termini inglesi? La lingua italliana a tutte le parole che servono per dire qualsiasi cosa e, come sai anche tu, e’ molto meglio dell’inglese. On demand = a richiesta - Telcos = societa’ di telecomunicazioni - Broadcaster = canale televisivo- ecc. ecc.
resta comunque da capire, per il comune mortale, cosa e’ ARPU.
Cosa intendi per deal, chi e’ il content provider, cosa e’ il revenue sharing … ecc.ecc.
No venirmi a dire che in italiano non esistono termini per descrivere cio’ che hai scritto. basta un vocabolario. Quelli che usi non sono termini entrati nel linguaggio comune degli italiani.
Questa mania di usare termini inglesi per tutto mi fa’ veramente capire come siamo piccolli noi italiani.
A presto.
8 aprile 2005 @ 19:53
ops …. mi sono accorto di gravi errori di ortografia … ma saprai sicuramente capirne il significato. Onde evitare:
piccolli = piccoli
a tutte le parole = ha tutte le parole
8 aprile 2005 @ 22:36
Si hai proprio ragione Mauro, anche se talvolta il termine inglese viene più facile quando si parla ad esempio di marketing che molti di noi hanno appreso su testi americani. Prendi l’esempio di ARPU, ovvero average revenue per user, è un termine internazionalmente utilizzato al posto di reddito medio procapite derivante dalla vendita di un servizio. Se da una parte condivido la critica, (troppo spesso abusiamo dei termini inglesi), dall’altra parte non dobbiamo renderci ridicoli nel voler tradurre tutto come i francesi, termini come ordinateur al posto di personal computer sono davvero bizzarri. Video a richiesta al posto di video on demand? mmmmh. La mia proposta è un compromesso, visto che questo è un blog di marketing, consentimi di continuare ad usare qualche termine anglosassone, se poi scriverò un articolo divulgativo prometto che sarò più moderato. A proposito come si dice leasing in italiano? :))
10 aprile 2005 @ 21:35
Nell’articolo di Maurizio più che termini inglesi erano utilizzati degli acronimi e certamentge gli acronimi sono spesso fastidiosi. Diciamo che - in tutta sincerità - sono fastidiosi solo per chi non li conosce…Per quanto riguarda invece la lingua, penso che sia giusto usare l’inglese per i termini che sono stati inventati in U.s.a o in paesi anglofoni. L’inglese è per il marketing (e per l’elettronica e per tante altre cose…)quello che è l’italiano per la musica. Chi direbbe: ‘with movement’ invece che ‘con moto’; e chi direbbe ‘going’ invece di ‘andante’…? Eppure gli inglesi, francesi, tedeschi etc si sono abituati e benissimo all’imperio della lingua italiana nella lirica etc. Devo inoltre dire che quando parlo con qualche inglese o con qualche americano, si stupiscono di come parlo ‘bene’ inglese. Ovviamente non lo parlo bene ma…beati monoculi in terra caecorum…(beati gli orbi nel paese dei ciechi). In sostanza invece di lamentaci dell’uso eccessivo dell’inglese dovremmo lamentarci della nostra incapacità a comprenderlo.
Leasing non lo saprei traddurre, anche se la mia vicina di casa parla di ‘lifting’ :)
per quanto riguarda invece l’inglese, c’è qualcuno che direbbe mercatistica invece di marketing?
IMLI: l’archivio della ragnatela che parla di mercatistica…
preferisco l’anglofilia di Maurizio :)
11 aprile 2005 @ 09:05
“IMLI: l’archivio della ragnatela che parla di mercatistica” … troppo bello! grazie Federico, adesso cambiamo il logo! :-D
11 aprile 2005 @ 20:54
A parte la diatriba sull’inglese, è vero Maurizio, a volte si esagera. Ma i termini sono “tecnici” per cui sei perdonato. Io da molto tempo mi occupo di contenuti televisivi, ma da un altro punto di vista [sono stato editore per un po’ di tempo e sono sempre alla ricerca di nuove piattaforme per veicolare contenuti]. Se noi vogliamo pensare che internet possa essere solamente un altro canale di vendita degli stessi contenuti, ne caviamo poco, in più hanno ragione gli editori di preoccuparsene. Datemi una ragione per vedere un film su internet piuttosto che su Sky. O mi da qualcosa in più, anche l’on demand invece che il dvd del Blockbuster si sovrappone a dei canali distributivi già esistenti.
Maurizio passa ad un concetto che mi è caro, il p2ptv. Il peer to peer applicato alla tv apre degli scenari enormi. Come l’editoria mai avrebbe immaginato di dover difendersi dall’attacco dei lettori che con i blog stanno rivedendo i modelli di fruizione delle informazioni online diventando essi stessi content provider [ooops fornitori di contenuti]. Così il concetto di contenuti creati e distribuiti direttamente dai navigatori potrebbe, in parte, escludere dal gioco i grandi editori e creare un palinsesto parallelo e alternativo alla tv tradizionale.
Un saluto
12 aprile 2005 @ 14:55
A questo punto mi si perdoni spero lo spot, ma sto organizzando un evento gratuito sul futuro delle televisioni digitali il 7 e 8 giugno a Milano, dove parleremo anche di peer to peer tv. Sara’ all’interno della Broadband Week http://www.broadbandweek.it
Restate sintonizzati
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