Leggendo un post di Jim Horton relativo alla triste storia di AT&T (una storia istruttiva, vale la pena di rileggersela), mi sono imbattuto in un paio di considerazioni generali su cui vorrei soffermarmi.

L’evoluzione delle tecnologie ha sicuramente avuto un impatto sul mondo della comunicazione, e delle PR in particolare, che il settore non ha di fatto “digerito” e sedimentato. Ancora oggi, se ne è discusso moltissimo su queste pagine, i comunicatori, pubblicitari o PR che siano, usano le nuove tecnologie in modi variamente inappropirati, senza comprenderne le reali dinamiche e la natura.


Ma secondo me c’è anche dell’altro. Quello che forse è successo, è che molta parte del mondo delle PR si è concentrato su “come arrivare” il più possibile sui nuovi media, perdendo di vista (non poco) la dimensione delle strategie e dei contenuti.

Quando il buon Jim parla di “…loss of meaning to PR beyond a media technique” mi sembra indichi esattamente questo non trascurabile problema di sostanza.

Se le PR hanno una immagine così deprimente ( e alcuni commenti postati di recente me lo hanno confermato) è perchè le relazioni pubbliche hanno perso di vista il ruolo consulenziale che le competerebbe. Parlando con i responsabili marketing di molte aziende, emerge un valore aggiunto percepito delle relazioni pubbliche che va poco oltre quello di un servizio fotocopie e distribuzione. (senza offesa per le fotocopie…)

Non che la cosa sia limitata al panorama italiano: ho postato di recente sul mio blog un commento alla storia narrata da Sarah Lacy, giornalista del BusinessWeek, che parla del mondo delle PR americane, e, per quanto possa stupire, anche là non mancano i pessimi esempi.

Nonostante il pessimismo di Horton, credo che esista la possibilità di recuperare un po’ di qualità e di sostanza e, mi piace pensarlo, riuscire almeno ad intaccare la penosa immagine media del “pierre” che oggi mi tocca sopportare.

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