Agenzie pubblicitarie, brand manager…. wake up
Sarebbe ora che qualcuno dicesse le cose come stanno riguardo alla pubblicità. Ritengo che siano davvero pochi oggi a mettere in dubbio il ruolo economico e sociale dell’industria della pubblicità nell’economia di un paese progredito, ma è importante che questo importante comparto evolva rapidamente, perché ci sono diversi aspetti del fare pubblicità oggi che non convincono gli investitori pubblicitari, non piacciono agli “utenti” e non sono più rispondenti alle esigenze di una società in profondo mutamento.
I pubblicitari continuano a discutere di creatività, di nuovi linguaggi (e fanno molto bene), ma farebbero altrettanto bene a discutere anche altri aspetti di cui ultimamente diversi blog hanno trattato:
1) l’obbligatorietà della pubblicità.
Lo diciamo da diversi anni, il marketing e la pubblicità si stanno digitalizzando, prima internet, ora la televisione, prossimamente anche parte delle affissioni.
Il consumatore in quanto tale, non esiste più, al suo posto ci sono persone diverse che hanno bisogni ed esigenze diverse e che non desiderano più essere destinatari di una comunicazione massificata, quando hanno tutte le possibilità di potere scegliere. La digitalizzazione della Società sta portando anche ad un aumento della idiosincrasia per l’intrusione e per quello che diversi blogger hanno già definito, l’obbligatorietà della pubblicità. Il marketing quando diventa digitale deve diventare anche collaborativo per non usare il termine anglosassone “permission based”. Mi spiego meglio, è inutile gridare o investire di più quando qualcuno non vuole ascoltare un determinato messaggio. La pubblicità urlata non solo non funziona ma è altamente controproducente.
2) Il costo della pubblicità
Diversi blog hanno diffusamente parlato del costo crescente della pubblicita, ne cito uno fra tutti. La pubblicità tradizionale, specialmente quella televisiva ha raggiunto un tale livello di saturazione, da avere ROI in costante diminuzione. La crescita del costo degli spot pubblicitari, per renderli più attrattivi sta diventano proibitiva per sempre più aziende che decidono di dirottare budget sempre più importanti su media più misurabili e più personalizzabili come internet.
3) Il valore della pubblicità
Una buona parte delle campagne pubblicitarie a cui moltissimi segmenti della popolazione sono sottoposti quotidianamente non sono per loro rilevanti o propongono prodotti e servizi che non possono permettersi. Se la pubblicità non è rilevante diventa una sorta di “gabella” sui prodotti, ovvero una forma di tassazione occulta.
Wake up
Il comparto della pubblicità per fare fronte alla crisi sta cercando di “rinnovarsi” attraverso un processo di fusioni, acquisizioni e ristrutturazioni che a mio modesto parere avrà solo effetti di breve durata. Farebbe invece ad approfondire tematiche di prioritaria importanza come:
a) la costruzione di un nuovo valore per investitori e per i loro “pubblici”
b) sperimentazione di nuovi linguaggi (oggi la ricerca è pressochè inesistente)
c) l’utilizzo di forme di comunicazione alternative meno intrusive
d) la partecipazione degli utenti nella comunicazione oggi ancora troppo unidirezionale.
f) il ricambio generazionale nel management delle agenzie di pubblicità e delle aziende
Credo che oggi nessuno neghi il valore della “buona pubblicità”, ma purtroppo gran parte di quella odierna non è al passo con i cambiamenti e non parlo di quelli tecnologici, ma quelli soprattutto della domanda che richiede oggi:
un marketing più preciso ed una comunicazione più emozionale e rilevante.
La crisi non è irriversibile, e non mi riferisco a quella congiunturale, che sembra stiamo superando, ma ad una crisi strutturale. Dobbiamo lavorare per un marketing più usabile, in cui i destinatari siano al centro dell’attenzione e non gli emittenti, perché se ci sono post come questo e questo vuol dire che il marketing e la pubblicità non stanno più creando valore per nessuno. Da uomo di marketing, la cosa mi preoccupa molto.
Sarà bene rifletterci.
Nessun post simile.
30 agosto 2005 @ 20:14
Scopro oggi che esiste un’agenzia di pubblicità che si chiama Wake Up, a scanso di equivoci il mio post non ha nessun riferimento con tale agenzia. Lo dico per correttezza nei confronti di tutti.
31 agosto 2005 @ 15:58
Maurizio sono certamente d’accordo con te. Tuttavia negli ultimi tempi non sono più molto ottimista e ho raggiunto la convinzione che la pubblicità sia stata una delle armi più pericolose a disposizione della “logica del profitto ad ogni costo” delle aziende.
Trovo che gli spunti di discussione su questi temi possano essere parecchi.
Ne scelgo uno in particolare.
Pensiamo alle persone, agli italiani.
Ma hanno veramente bisogno di tutta la roba che viene pubblicizzata?
Si gioca tutto sui bisogni secondari. A posto con cibo, casa e abbigliamento, il resto dello stipendio possiamo spenderlo in cose che non ci servono realmente, ma che, per cosi dire, allietano la nostra esistenza (e qua potremmo entrare nel mondo dei valori e dire che 50 anni fa si viveva benissimo anche senza tutte le cose inutili presenti nei supermercati, ma evitiamolo, non è questo il punto. )
Trovo molto fastidiose le pubblicità televisive ad esempio di suonerie ed elettrostimolatori che a forza di continui martellamenti convincono le persone a spendere i loro i soldi in prodotti di cui spesso non hanno assolutamente bisogno.
Questo è bene? E’ male?
Dipende a chi lo si chiede. I Wannamarchesi direbbero che se c’è chi poi compra queste cose, allora è giusto cosi. Io dico che c’è un limite nel prendere in giro il prossimo.
Provare a sfogliare una rivista o un fumetto per ragazzi. Quanti messaggi, ben fatti dal punto di vista marketing, ma viscidi dal punto morale ci sono? Seducono chi è più debole (il ragazzino) per convincerlo ad comprare o a farsi comprare oggetti totalmente inutili.
L’attenzione alla pubblicità è stata per anni una sorta di “lato debole” delle persone.
Per anni la pubblicità (televisiva in particolare) ha gabbato la gente con mezze verità, ha insegnato ai bambini ad essere prima di tutto buoni “consumatori” e ha trasformato i lettori ed i telespettatori in un “prodotto” che le aziende possono comprare dalle concessionarie di pubblicità [se ci pensate gli editori non fanno soldi vendendo i giornali a noi, ma vendendo noi (il target) ai pubblicitari].
Ora forse si rende conto che se va avanti cosi, la pubblicità, si vedrà costretta a cambiare.
Ma è possibile farlo?
Forse si tratta di iniziare a dialogare onestamente con le persone e smettere di considerarle solo strumenti per fare utili. Magari un buon inizio sarebbe quello di dire loro la verità.
E Internet, volenti o dolenti, su questo punto ha già iniziato a giocare un ruolo fondamentale.
31 agosto 2005 @ 16:28
Caro Maurizio, questa è la mia battaglia personale, voglio un marketing più usabile, onesto e veritiero. Siamo noi che dobbiamo cominciare a diffonderne la cultura.
2 settembre 2005 @ 19:34
Sono perfettamente d’accordo con Maurizio e a tal proposito ho scritto un articolo pubblicato su Webmarketingstrategico.com dal titolo “Seil marketing diventa “Umano”", in cui sostengo proprio le cose scritte da Maurizio e chiedo a tutti gli addetti ai lavori di concentrarsi su un nuovo modo di fare marketing e pubblicità, principalmente basandosi sulla nostra cultura sociale e non necessariamente su quella anglosassone che storicamente poco ci appartiene.
Vorrei pareri sull’articolo se vorrete leggerlo.
Grazie
ANdrea
16 settembre 2005 @ 15:11
Almeno 10 anni fa le 4P del marketing strategico erano diventate 5/6 e oltre a parlare di price, product, placement e promotion si parlava anche di people/pleasure…il consumatore è un uomo, è persona con dei bisogni da soddisfare, i prodotti sono fabbricati a livello industriale ma non sono più le FORD nere ma sono prodotti customizzabili a seconda dei gusti dei consumatori, delle persone.
Vi chiedo uno sforzo in più, provate ad integrare le vostre teorie dicendo in pratica come dovrebbe cambiare la comunicazione per arrivare one to one alle persone che hanno esigenze diverse? Altrimenti la teoria resta solo una critica senza nulla di propositivo costruttivamente.