Il secolo cinese
Federico Rampini è un giornalista che scrive da tempo sui quotidiani nazionali, negli scorsi anni è stato corrispondente per Repubblica da San Francisco e devo ammettere che i suoi articoli dalla Silicon Valley nella maggior parte dei casi li trovai noiosi e ripetitivi. La nuova tecnologia, il gruppo di ragazzotti che creano una nuova azienda, il nuovo software, l’idea imprenditoriale sono temi che possono attrarre l’attenzione per qualche numero di Affari e Finanza, ma scrivere sempre degli stessi argomenti può creare un senso di ripetitività che mi ha impedito di superare l’inizio della maggior parte dei suoi articoli.
Con queste premesse mi sono avvicinato a “Il secolo cinese“, senza aspettarmi nulla di buono, ma con la curiosità di scoprire che cosa sta succedendo dall’altra parte del pianeta.
Il libro l’ho portato in un recente viaggio in Messico, dove parlando con delle persone del posto ho scoperto come il “chinos” sia un pericolo percepito anche nell’ex-serbatoio di manodopera degli USA. Come è noto il costo della manodopera è il motivo del grande successo dell’economia cinese, le multinazionali sono state costrette a trasferire la produzione per aumentare i margini e riuscendo a stare sul mercato con prezzi concorrenziali.
Rampini nel frattempo si è trasferito a Pechino e da lì analizza il motivo del successo di questa enorme nazione, compiendo un’analisi storica-sociale-economica del tessuto che ha permesso lo sviluppo di un paese che, nonostante le grandi contraddizioni e le lotte di potere, sta per diventare la prima potenza mondiale.
Diversi sono i temi analizzati, dalle conseguenze della rivolta degli studenti in piazza Tienanmen, all’importanza di figure come Deng o Jiang, dai centri storici che spariscono dietro l’avanzata dei grattacieli, al carbone che permette a 1,3 miliardi di persone di riscaldarsi durante il rigido inverno cinese (e a noi di respirarne le conseguenze).
L’impatto dello sviluppo di questa enorme nazione sarà (in alcuni casi è già) devastante. Se ora le auto in circolazione sul territorio cinese sono solo trenta milioni, tra vent’anni potranno arrivare ad essere anche 600 milioni se il livello di penetrazione dell’auto sarà identica a quello americano. Il consumo del petrolio dei cinesi sta portando il prezzo del greggio alle stelle e la mancanza di bacini petroliferi interni porterà la ricerca di un nuovo equilibrio politico/militare nel sud-est asiatico. Il carbone è la fonte energetica del paese e le conseguenze tra i minatori e sulla natura si fanno già sentire. La ricerca di energia alternativa ha portato alla distruzione di un’area vasta quanto la distanza tra Milano e Roma dove è stata costruita la diga più grande del pianeta e dove sono state sfollate 2 milioni di persone (!).
Gli spunti di riflessione continuano con analisi brevi ma efficaci, ed aiutano a capire l’impatto non solo economico della crescita cinese. Un libro da leggere secondo me per cercare di capire un paese che diventerà sempre più protagonista delle nostre vite e che è il risultato di un’attenta analisi e di una ricerca molto approfondita.
Di fondo mi è rimasto questo interrogativo: la cultura cinese è stata per millenni all’avanguardia, siamo pronti ed il pianeta è pronto ad accogliere questo ritorno?
Nessun post simile.
7 settembre 2005 @ 09:00
Cantavano i Fugees qualche anno fa ..”Ready Or Not, Here I Come, You Can’t Hide
Gonna Find You and Make you want me.”
Nessuno conosce una buona scuola di Cinese?
7 settembre 2005 @ 09:08
Come tutti, penso che ‘La Cina è vicina’. Per quanto riguarda la ‘cultura cinese’ penso però che non sia mai uscita dalla Cina, quindi non si tratterebbe di un ritorno ma di unavvento. A questo proposito, penso comunque che la Cina si sta imponendo con un a cultura tipicamente occidentale e nient’affatto orientale (diciamo stile : “La condizione della classe operaia in Inghilterra” di F. Engels). Quini, se la cina diverrà la nuova potenzia economica assoluta (ancora non ci siamo) lo farà con le categorie occidentali. Solo che per ‘dominare il mondo’ non basta solo l’economia, ci vuole anche un po’ di ‘contorno’ (musica, film etc.) fino a quando non avremo come idoli musicali o movie star dei bei ragazzi con gli occhi a mandorla, non ci sarà il dominio della Cina.
7 settembre 2005 @ 09:22
Certo ai tempi di Marco Polo i cinesi non c’erano a Venezia eppure erano già molto numerosi. Ora però esco di casa e li incontro per strada.
7 settembre 2005 @ 09:54
Grazie per aver introdotto l’argomento :)
Nella veste professionale, sono moolto interessato all’evoluzione di paesi come Cina e Russia (sull’India devo ancora prendere informazioni, chissà come sono messi a livello di comunicazione).
Un’agenzia italiana ha aperto la sua sede a Shangai (Galli Zugaro), le multinazionali della comunicazione hanno già filiali in questo paese. Come nell’andamento economico - stagnante da noi, esplosivo da loro - anche gli investimenti pubblicitari.
Circa due mesi fa un centro media italiano (Blei, del gruppo RCS) ha tenuto una interessante conferenza sullo scenario dei media cinesi, che ha evidenziato: molte reti televisive free, molte testate e una quasi eccessiva frammentazione dei veicoli pubblicitari. Oltretutto in Cina, nelle città ovviamente, dispongono dei più moderni impianti di comunicazione esterna (affissione)…cose che in Italia si sognano soltanto. E’ la riproposizione del miracolo industrial/economico…con il prezzo della mancanza di regole?
Comunque, ribadisco che anche io sono interessato alle prospettive della Cina ma guardo con un pò di preoccupazione la sua crescita alimentata dal consumo di combustibili fossili (petrolio e carbone)…Se bisogna, e bisogna assolutamente, sperimentare nuove soluzioni per la produzione energetica, è il caso che siano proprio i paesi che stanno costruendo ora il loro sviluppo (non avendo quindi eredità industriali difficili da rimuovere) a dover sperimentare queste strade. Non vorrei oltretutto che - da questo punto di vista - la crescita cinese non si regga su un castello di carte, e che la sua necessità di rifornimento non scateni altre battaglie geopolitiche per il controllo delle risorse (ma mi sembra che questo stia già accadendo).
Non vorrei, detto in termini forse un pò tragici, che il modello di sviluppo su cui si sta basando la Cina non sia già fallimentare (sul medio-lungo periodo), ma perché ciò venga accettato dovranno essere versate lacrime&sangue…
7 settembre 2005 @ 10:33
All’ultimo Miptv/Milia a Cannes a cui ho partecipato si poteva notare un’intero padiglione dedicato alle televisioni cinesi. Mi ha colpito che hanno anche media specializzatissimi come un canale satelittare per il turismo, per spiegare ai cinesi che vogliono viaggiare quale sono le mete più interessanti
7 settembre 2005 @ 10:37
scusate intendevo satellitare
7 settembre 2005 @ 10:37
Anche l’azienda per cui lavoro ha appena aperto la propria sede a Shangai. Vi terro’ informati sullo sviluppo del mercato e sul feddback che mi verra’ dato
7 settembre 2005 @ 11:25
Ciao,
condivido queste riflessioni che sono basate sulla realtà dei fatti. Una cosa che però non mi stanco di sottolineare è che la rapida ascesa della Cina si basa in buona parte sullo sfruttamento indiscriminato della manodopera e sul mancato rispetto delle più elementari norme di tutela dell’ambiente.
Queste due voci hanno un impatto considerevole sui bilanci delle nostra aziende, rendendo di conseguenza i nostri prodotti scarsamente competitivi dal punto di vista del prezzo rispetto al made in China. E non possiamo nemmeno specializzarci tutti sui mercati di nicchia o “ad alto valore aggiunto” come qualche economista suggerisce.
Questi mercati sono infatti per loro stessa definizione ristretti, e non possono assorbire dal lato della produzione tutte le risorse impegnate in settori come il tessile e il calzaturiero europeo che sono in evidente crisi.
Una seria politica internazionale per far rispettare ai produttori cinesi le due norme precedentemente elencate (diritti dei lavoratori e rispetto dell’ambiente) consentirebbe all’Europa di tirare una boccata d’ossigeno e al mondo di essere un po’ più pulito.
7 settembre 2005 @ 11:33
Non credo che le multinazionali abbiano interesse a far rispettare queste norme, come farebbero a mantenere i propri margini? Pare che i cinesi nel frattempo stiano aprendo fabbriche in Corea e in Vietnam.
7 settembre 2005 @ 20:43
Non sono così convinto che la soluzione sia a senso unico: certamente occorre far rispettare alla Cina le norme elementari in materia di diritti dei lavoratori. Ma ritengo parallelamente che i mercati occidentali debbano fare un profondo esame di coscienza. La spinta al rialzo del prezzo di molti beni di consumo è stata a mio parere eccessiva ed un gioco al massacro. Sono convinto che in molti settori ci sia la marginalità per poter abbassare i prezzi.
8 settembre 2005 @ 07:33
Gianluca, sia chiaro che ne sono convinto anch’io, ma perchè ciò accada occorre prima convincere i board aziendali e quindi gli azionisti di questa necessità, poi i mega-dirigenti ma anche i “semplici” dirigenti che il loro stipendio non è più sostenibile.
8 settembre 2005 @ 19:29
la cina non sostituirà mai gli U.s.a. Il motivo è estetico e non economico. Vi ricordate il Giappone? 20 anni fa sembrava che dovesser spaccare il mondo e stanno stagnando da lustri. Crederò al ‘miracolo cinese’ quando gli occidentali si vorranno fare gli occhi a mandorla dal chirurgo plastico. sino ad allora non vedo problemi di predominio. Non basta produrre reggisensi a 1 euro ;)
8 settembre 2005 @ 20:47
Finché la valuta di riferimento sarà il dollaro, è ovvio che sarà come dice Federico. Ciò da quando gli Usa hanno imposto la non convertibilità. Il punto è, quanto il dollaro potrà reggere come valuta di riferimento…forse fino a quando paesi come Cina e Giappone (ma non solo) accetteranno di comprare asset finanziari in Usa, usando dollari (tutto ciò detto in maniera semplificata).
9 settembre 2005 @ 09:17
Federico, ti ricordo che il Giappone si è mosso sempre sotto stretto controllo degli USA, la Cina si muoverà senza alcun tipo di pressione esterna, anzi: il debito USA è finanziato ampiamente dalle riserve monetarie cinesi. Senza dimenticare che il bacino interno potrebbe da solo nel giro di qualche decenio superare in valore il mercato americano e quello europeo messi insieme. Saranno reggiseni a 1 euro, ma tra poco arriveranno le auto a 5000 euro.
9 settembre 2005 @ 10:41
Ragazzi, non vi dimenticate dell’India
9 settembre 2005 @ 11:35
cmq non basta.
non ce la faranno.
ce la facciamo sotto per niente.
come ho detto, è una questione estetica e non economico-industriale.
federico
9 settembre 2005 @ 11:36
beh qui si sta parlando della Cina :)
9 settembre 2005 @ 12:21
Ciao, purtroppo non condivido l’ottimismo di Federico per quanto riguarda l’impatto che la Cina (ma anche l’India a breve) ha ma soprattutto avrà sulla nostra economia. Del resto gli indicatori macroeconomici parlano chiaro. L’Europa, per tornare a essere competitiva dovrà avere la capacità di rimettersi in discussione (facendo anche le opportune pressioni perché questi governi producano secondo le regole, come ho postato precedentemente). Altro che estetica, la faccenda è decisamente economica.
http://www.panorama.it/economia/imprese/articolo/ix1-A020001032552
Nel 2005 si prevede una crescita del 9% in Cina, del 7% in India e dell’8% in Vietnam. Elevati prezzi dell’energia non hanno portato al deragliamento e nemmeno al rallentamento della crescita in Cindia (Cina e India) o in Vietnam. (…)
La crescita in India è talmente veloce da non riuscire a estrarre abbastanza carbone dalle sue enormi riserve per rifornire le proprie utility e le proprie industrie. (…)
Sarà un gigantesco mercato di sbocco per una vasta gamma di beni e servizi mentre continua a essere il più grande produttore a basso costo su scala mondiale, potenzialmente, di qualsiasi cosa che può essere prodotta, progettata o distribuita. L’India ricoprirà una posizione di predominio nel settore dell’It. Le due nazioni creeranno un’alleanza in quelle aree di attività economiche reciprocamente vantaggiose.
5 ottobre 2005 @ 19:03
Il problema della Cina è che i suoi abitanti si sono trovati in poco tempo al centro di un’evoluzione economica e culturale che inevitabilmente ha creato tanti problemi tutti insieme, dall’inquinamento stratosferico alle condizioni estreme dei lavoratori, dal codice civile di poche pagine alle grandi disparità sociali.
Questi problemi sarebbero dovuti essere stati risolti preventivamente nella stessa sede in cui si è deciso di avviare questo processo: in WTO!
Per me è inutile, ora, cercare di come salvare il nostro tessile o i grandi poli dell’industria manufatturiera… è una partita persa a tavolino. 6€/ora sono ben diversi da 0.54€/ora!!
Oggi, l’Italia dovrebbe fare due cose: Sensibilizzare gli organismi internazionali per la conquista in Cina dei diritti umani, voce pressochè assente nell’agenda politica cinese; in secondo luogo in Italia ci si deve concentrare nelle produzioni di Qualità, di Innovazione e in Ricerca, cioè di tutte quelle cose in cui non abbiamo rivali al mondo, sia esso food, moda, hi-tech, ecc.
Il tutto bisogna anche saperlo comunicare e i numeri che girano oggi in Cina, la fanno il più grande mercato di sbocco del Made in Italy.
Credo fermamente che Internet sia il mezzo che in Cina farà la differenza, già forte dei suoi oltre 100 million di utenti…
Non dimentichiamo il Turismo…
Tornerei volentieri a parlare di questo argomento…