La lunga strada dell’interattività in televisione
Non capisco l’ostinazione con cui il mondo della televisione italiana, capitanato dalla Fondazione Ugo Bordoni, segua con tanta determinazione la strada dell’interattività nel processo di transizione al digitale terrestre.
In altri Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti, si ritiene che la direzione per la transizione al digitale, sia invece quella di una televisione esperienziale, fruita su grandi schermi al plasma o a cristalli liquidi e produzioni ad alto impatto, sto parlando della televisione ad alta definizione.
Sia chiaro, anche in Italia, ci sono gruppi di lavoro che da tempo stanno lavorando sull’alta definizione, ma la mia personale impressione è che questa non sia una strada prioritaria.
Ci si domanda se l’interattività oggi proposta sul digitale terrestre per votare, giocare, acquistare o fruire di servizi di T-government possa essere una ragione valida per chiedere ai consumatori di sostituire i loro televisori, con nuovi apparecchi o di dotarsi di set top box.
Da tempo rifletto se sia saggio insistere su un driver, quello dell’interattività, che sul digitale terrestre sarà sicuramente più limitata rispetto a quella fruibile sul satellitare e sul broadband.
In secondo luogo, l’interattività che viene proposta oggi è di tipo additivo su contenuti che sono stati concepiti per essere trasmessi in modo lineare. In tale modo l’esperienza di fruizione non è mai ottimale.
Prendiamo il caso della pubblicità interattiva. Il presupposto su cui si basa, parte dall’assunto che l’interattività non debba mai deviare l’attenzione dal flusso lineare, per non provocare un conflitto di attenzione, tra la componente lineare del contenuto televisivo e quella interattiva. i diversi formati pubblicitari esistenti, proprio per evitare questo conflitto di attenzione vengono progettati secondo due scuole di pensiero:
1) la prima è definita, la scuola dell’impulse response. Si cerca di limitare l’interazione in uno spot entro i 30″ (la sua durata tipica), in modo da non creare conflitti con gli spot successivi o con la programmazione che segue. Sono pubblicità in cui viene chiesto di fare azioni molto brevi e la cui efficacia di brand è pertanto limitata.
2) la seconda strada è quella che porta avanti l’Italia, è quella dello splitscreen. Il contenuto televisivo lineare e quello interattivo coesistono. Quando viene attivata la modalità interattiva, si continua a vedere il contenuto lineare su un quarto di schermo, con ovvi problemi di dissipazione dell’attenzione.
Ci troviamo quindi di fronte, ad una proposizione di valore debole, se l’asse portante della tv digitale terrestre è solo l’interattività. I problemi infatti sono diversi: i contenuti che non sono pensati specificamente per il digitale, ma riadattamenti di quelli già fruibili sui canali analogici (quelli originali sono pochi).
I modelli di business dell’interattività sulla televisione digitale terrestre non sono del tutto consolidati, ci sono poi enormi problemi legati al digital divide. Per quanto facile vengano resi i meccanismi di interazione, non è cosa semplice chiedere ad una buona parte della popolazione di modificare i propri comportamenti di visione della tv. Una tv di impatto è sicuramente un argomento più facile da comprendere.
Sarebbe stato a mio parere forse più utile considerare la transizione al digitale in modo più ampio prendendo in considerazione ad esempio il ruolo del servizio pubblico, in modo esteso e su tutte le piattaforme di distribuzione.
E’ vero che il broadband in nessun caso potrà mai avere i livelli di penetrazione del digitale terrestre, ma su quella piattaforma le reali possibilità legate all’interattività sono molto maggiori.
L’anello debole della catena è a mio giudizio legato all’assenza di reali incentivi per stimolare il mercato alla creazione di contenuti specifici e di servizi in grado di motivare gli utenti a compiere il gran salto tecnologico.
Credo che questa eccessiva enfasi sull’interattività non faccia buon gioco alla facilitazione alla transizione al digitale, che ritengo una grandissima opportunità per il nostro Paese.
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22 settembre 2005 @ 00:56
Analisi impeccabile della situazione italiana.
A mio parere l’unico vero motivo per passare al digitale è la possibile da parte dei network di creare contenuto pay-per-view anche dove prima era tutto free.
Inoltre, ma spero di non sbagliarmi, nemmeno le telefonate che vengono fatte dal box per le comunicazioni “interattive” sono gratuite. Un po’ come succede con Sky. Percui un’altro costo “imposto”.
E per chi ha già provato il digitale… lasciamo perdere la qualità scadente del video. (questa è un’altra storia)
22 settembre 2005 @ 11:19
Vorrai scherzare Andrea,le telefonate per le comunicazioni interattive sono LA FONTE DI BUSINESS, per l’interattività. Con grande probabilità solo quelle legate alla pubblicità interattive saranno a carico dello sponsor, altrimenti la pubblicità interattiva in tv non decollerà mai.
22 settembre 2005 @ 13:07
oggi c’è un contributo su punto informatico su questo argomento…
DTT, le patate non sono interattive
23 settembre 2005 @ 18:07
Piuttosto aspro, quanto realistico, l’articolo citato da Gianluca. Anche Maurizio fa un buon punto della situazione. Tutto ciò conferma quanto si era detto un anno e mezzo fa su questo stesso blog. Se finanziamenti dovevano esserci, non dovevano andare alla fornitura con forte sconto (e talvolta gratuita) di decoder (peraltro venduti, proprio in virtù del contributo statale, a prezzi visibilmente gonfiati), ma ai creatori di servizi e contenuti.
Tanti si trovano ora in casa un decoder che gli fa vedere le stesse cose dell’analogico o poco più, ma probabilmente tanto basterà al governo per poter dire di aver digitalizzato il paese portando a termine il switch off nei tempi previsti (in verità non ci credo molto, e sarà comunque problema di un governo differente da quello in carica). E’ grave che si sia scelto di introdurre una tecnologia utile e redditizia per gli investitori pubblicitari in una maniera così iniqua e castrante. Se il mercato farà fatica a decollare sarà per questo motivo.
Penso tuttavia che, con le difficoltà dovute ai motivi sopra elencati, qualcosa si possa fare, ad esempio una sperimentazione con una pubblicità contestualizzata e informativa che rimandi ad un approfondimento immediato. Il tutto al fine di verificare i tassi di conversione da spettatore passivo a spettatore che “clicca”.
24 settembre 2005 @ 09:07
Sono abbastanza d’accordo con l’Articolo di Goetz e con quello di Luddist su Punto Informatico.
Proviamo a pensarla in questo modo, però. Magari i finanziamenti che il DTT ha ricevuto (e riceve) per progetti legati alla sua interattività possono essere un buon veicolo per la diffusione della tecnologia nelle case degli italiani. Che poi l’interattività sia usata o meno, utile o meno non mi sembra molto importante. Nel senso che un passo avanti, tecnologicamente parlando, lo si sarà fatto comunque; e non saranno in pochi a fare questo passo visto che, da qui a qualche anno, tutta una nazione sarà costretta ad adeguarsi alla ricezione del DTT. A proposito, delucidatemi. Quando avverrà lo switch definitivo e obbligatorio per tutti? Io ricordavo il 1° Gennaio 2007. Il termine ultimo è stato forse prorogato?
A me pare comunque il Digitale Terrestre resti una buona opportunità sul versante dell’utente. A patto, ovviamente, che questo implichi il moltiplicarsi dei canali free-to-air, il fiorire di un’offerta ampia e diversificata. Per cui si spera che anche altri soggetti, altri editori inizino a fare televisione, a produrre programmi e canali, che gli editori già esistenti accrescano la loro offerta, che qualche canale satellitare venga traslocato sul DDT, ecc. Se poi questo non avvenisse, beh solo allora potremmo dire che il DTT è stato tutto un bluff. Io aspetterei ad esprimermi.
Andrea, come sarebbe poi: “lasciamo perdere la qualità scadente del video”? Che compressione usa il sistema MHP? Vorremmo saperne di più.
1 ottobre 2005 @ 01:14
Il discorso sull’interattività facendolo semplicissimo è questo:nessuno poteva sperare che la torta del ercato pubblicitario si allargasse e l’ interattività(integrata al programma) doveva compendiare il modello di business.Nelle stime fatte con semplici calcoli su una studio del 2003,si calcolava che già con un click al giorno del 30% degli utenti,ad un prezzo basso,per una media fattoriale di utenti,il business del click era circa 3,5mld di euro,quasi come la pubblicità.Ah..il calcolo era fatto su un prezzo base di 12 cent…sarà molto di più infatti il mercato.
Poi che la via all’interattività sia stata scelta per incentivare il digitale terrestre in modo da far venir meno la normativa europea sulla neutralità tecnologica e altrettanto ovvio.Ricordiamoci che in Italia c’è un monopolio sul satellite concesso ma non senza tanti sforzi.Sarebbe da dire tante altre cose,ma un’altra è importante,la televisione pubblica è delegittimata,come può essere sostenua la natura di servizio pubblico televisivo se non entra in ballo il concetto di T-government?Il canone vuole pur essere motivato no?Questa è la nicchia della Rai perchè il suo interesse non è far business,ma continuare la sua missione pubblica.