Strategia oceano blu: vincere senza competere
“In ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria“; questa recensione del libro di Chan W. Kim e Renée Mauborgne inizia con la citazione di un estratto de L’arte della Guerra di Sun Tzu considerato, anche se ha più di 2500 anni, uno dei più importanti testi di strategia (militare e non) mai scritto.
La citazione non è casuale; forse proprio ispirati dal testo di Sun Tzu, gli autori di Strategia Oceano Blu, attraverso una analisi diacronica dei casi di successo aziendali in diversi settori (automobilistico, informatico, etc), si pongono come obiettivo la formulazione di un processo creativo (”ricostruzionista”) in grado di permettere l’apertura di un nuovo mercato (inesplorato e quindi in grado di offrire migliori opportunità) riducendo contemporaneamente i fattori di costo, gli elementi di rischio ed evitando lo scontro con i propri competitor.
Insomma, perchè nuotare in un oceano infestato da squali e rosso sangue quando si può creare un oceano blu, libero da concorrenti e con grandi opportunità di crescita? Perchè insistere nella microsegmentazione di un mercato già saturo quando con una innovazione di valore sulla propria offerta si può “sbloccare” un mercato largo ed incontestato?
Il processo attraverso il quale, secondo gli autori, è possibile “vincere senza competere” è descritto nel libro in modo articolato e con un ampio ricorso a case history, ma in questa recensione voglio soffermarmi su alcuni elementi di questo processo che ho trovato particolarmente stimolanti per il mio day by day.
In primo luogo mi ha colpito la rilevanza che viene data alla componente “visiva” nell’analisi funzionale per la ridefinizione dei confini di un mercato; secondo gli autori le stimolazioni visive sono uno strumento fondamentale non solo per descrivere lo stato delle cose, ma anche per stuzzicare la creatività dei manager e stimolare il dialogo tra diverse unità operative. Inoltre, solo attraverso un approccio di tipo visivo è effettivamente possibile una analisi di follow up che chiarisca un prima ed un dopo rispetto alla propria offerta di valore.
Su questo tema mi ripropongo di approfondire (suggerimenti di lettura sono ben accetti … sempre :) )
Un altro tema di grande interesse, almeno per me, è quello relativo al “target costing“; l’obiettivo qui è ridefinire il processo di pricing di un particolare prodotto/servizio a partire non dal margine che si vuole ottenere (ovvero prezzo-da definire meno costo definito), ma dall’utilità che si vuole generare. In questo quadro il costo non è più un valore dato, ma è “target di costo” variabile in funzione delle particolari caratteristiche di un mercato in un particolare dato momento storico.
Per raggiungere questo “target” gli autori propongono diverse soluzioni: ad esempio la riduzione della quota di investimenti in fattori competitivi non cruciali o ancora la ridefinizione del modello di pricing di un particolare settore (es. dalla vendita di videocassette al noleggio); insomma, passando da un modello centrato sul margine ad un modello centrato sull’utilità generata la voce di costo diventa una variabile sulla quale lavorare per raggiungere un margine di profitto desiderato.
Ultimo spunto che vorrei condividere con voi è la distinzione proposta dagli autori tra innovazione di valore e innovazione tecnologica pura; la prima ha a che fare con il business, la seconda a che fare con la “ricerca” e sono, per motivi evidenti, due mondi con obiettivi e storie differenti.
Si pensi all’email, “inventata” negli anni ‘70, ma diventata killer app solo nella seconda metà degli anni ‘90 o alla tecnologia RSS creata per Netscape nel 2000 e di cui oggi tanto parliamo anche su IMlog, ma che di fatto è utilizzata solo da poco più del 10% di chi usa internet in italia; di fatto, se si vuole ridurre al minimo il rischio di fallimenti, bisogna sempre declinare la propria offerta di modo da interessare un target il più possibile esteso e non solo una nicchia di tecnoappassionati (come il sottoscritto :) ) prendendo il meglio della tecnologia, ma senza confondere la tecnologia con il prodotto.
Insomma, davvero un ottimo libro, quasi un manuale operativo attraverso il quale comprendere meglio e guidare le dinamiche dell’innovazione in azienda; consigliato!
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7 novembre 2005 @ 18:41
Grazie Giuseppe,
per l’ottima recensione.
L’avevo già inserito tra i libri “da leggere”,…a questo punto me lo leggo subito!
8 novembre 2005 @ 00:28
Grazie della segnalazione Giuseppe.Raramente mi capita di leggere di libri di business cosi intriganti. E un titolo cosi, difficilmente avrebbe catturato la mia attenzione.
Effettivamente capita spesso che il successo arrivi quando si smette di pensare solo a come fare più soldi. Partire invece “dall’utilità che si vuole generare” mi pare un approccio più etico e utile alla società.
L’Arte della guerra resta, a distanza di 2000 anni, un libro capace di offrire ancora moltissimi spunti.
9 novembre 2005 @ 19:32
Letto, riletto e segnalato e più volte regalato.
Mi ci ero scontrata per caso l’estate scorsa leggendone delle recensioni in una libreria on-line.
Da contrappore ad un altra lettura piuttosto interessante - e che propone un approccio diverso al problema - ‘Il dilemma dell’innovatore: la soluzione. Creare e mantenere nel tempo business innovativi e di successo’ di Christensen Clayton M.; Raynor Michael E.
9 novembre 2005 @ 19:33
Letto, riletto e segnalato e più volte regalato.
Mi ci ero scontrata per caso l’estate scorsa leggendone delle recensioni in una libreria on-line.
Da contrappore ad un altra lettura piuttosto interessante - e che propone un approccio diverso al problema - ‘Il dilemma dell’innovatore: la soluzione. Creare e mantenere nel tempo business innovativi e di successo’ di Christensen Clayton M.; Raynor Michael E.
16 marzo 2006 @ 22:24
Il mio grande capo, di ritorno al World Business Forum, ha conosciuto gli autori, è rimasto folgorato dall’enorme potenziale della strategia e ci ha entusiasmati. Stiamo mettendo in pratica gli insegnamenti.
Funziona!
Il mio attuale oceano blu è il passaggio dal 2D al 3D per i non-clienti del mondo 3D, ossia far diventare uno stampatore un produttore di manufatti (portachiavi, ecc.)
3 dicembre 2006 @ 23:23
ho comprato il libro oggi e devo dire che sembra gia’ dalle prime pagineinteressante cerchero’ di capire meglio di cosa sitratta.
martin
1 febbraio 2007 @ 13:26
devo essermi perso qualcosa… ;-)
io in realtà l’ho trovato abbastanza ovvio..