Il mestiere di pubblicitario
Ho conosciuto Maurizio Sala nel 1996, al primo convegno di Internet Marketing in Italia, che ho organizzato per la rivista Internet News al Centro Congressi di Assago a cui Maurizio ha partecipato come relatore.
Maurizio non è solo uno dei più geniali pubblicitari in Italia, ma anche e soprattutto una mente aperta proiettata al futuro. Uno dei pochi creativi ad avere compreso oltre dieci anni fa, le potenzialità dei new media per la comunicazione. Da allora è diventato vice presidente del Gruppo Armando Testa e presidente dell’Art Directors’ Club.
Spero che l’amico Fabrizio Bellavista, non se ne abbia a male se riporto integralmente un’intervista a Maurizio Sala rilasciata alla rivista Adv L’utente di pubblicità (numero di dicembre05-gennaio06).
Non aggiungerò alcun commento, chi mi conosce sa che la condivido fino all’ultima parola.
Il nostro mestiere (il pubblicitario ndt): accogliere il futuro
di Maurizio Sala
La sfida del mercato di oggi si chiama “mettiamoci a studiare”. Serve più competenza sul nuovo: sui nuovi media e conseguentemente sui nuovi linguaggi, sulle nuove forme di aggregazione dei target, sulle nuove tecniche produttive e sulle nuove tecnologie in grado di rendere sempre più interattivo e easy-to-live il messaggio della marca.
Le nuove opportunità sono direttamente proporzionali alla voglia del sistema di rimettersi in gioco di ridisegnarsi in termini di competenze professionali e strutture operative. Chi primo cambia, meglio alloggerà.
Il modello agenzia di pubblicità così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi, si avvia al suo definitivo tramonto: troppo rigido, troppo costoso a fronte di un ritorno di risultati meno soddisfacente di una volta. Servono strutture più snelle e multicompetenti sui vari aspetti della comunicazione.
Però per aiutare questo trapasso verso una maggiore efficacia a vantaggio di tutti, primi i clienti ovviamente, è necessario che tutti concorrano a ridefinire le regole del gioco. Non si può chiedere ai propri consulenti di cambiarsi radicalmente, di investire in nuove competenze e contemporaneamente tagliare le loro commissioni in continuazione al ribasso e invitarli in quindici alla stessa gara.
Se la marca desidera maggiore efficacia, deve a sua volta aiutare il sistema ad evolversi, non può limitarsi a stare a guardare senza cambiare in niente le proprie consuetudini. Ricordiamocelo, per favore, sui prossimi tavoli di discussione intersettoriale.
Nei prossimi due anni avremo in modo massiccio il digitale terrestre nelle case europee e nessuno ha compreso che se verrà usato come all’inizio venne usata internet, cioè come portabrochure digitale e nulla più, la gente clicckerà un paio di volte sui bivi interattivi poi mollerà il colpo davanti a noiosi elenchi di punti vendita o caratteristiche di prodotto.
Va compresa chiaramente questa equazione di fondo, che tra l’altro riguarda la maggior parte delle innovazioni in arrivo: sono tutte opportunità che consentono una maggior comunicazione di contenuti intorno alla marca, proprio per questo l’elemento della spettacolarità, della caratterizzazione creativo-interattiva di ciò che si trasmette è fondamentale, altrimenti la gente si sentirà solo oppressa da un eccesso di informazioni senza fantasia e le rigetterà.
Questo vale per il DTT, ma anche per la comunicazione via mobile o via Iptv. Sempre per queste nuove opportunità mediatiche vale la pena di fare una riflessione su tecniche e costi produttivi.
E’ ovvio che non si può concepire una piattaforma di costi realizzativi come quella che oggi vale per un commercial. Un approfondimento audiovideo, indipendentemente dalla piattaforma su cui va in onda, può durare molto di più dei canonici 30 secondi. E’ allora che si fa? Scendere di qualità è fuori di discussione, ma lo è anche il mantenere gli stessi costi a fronte di metraggi maggiori.
Bisogna studiare il problema e offrire soluzioni. In fretta, anche perché la svolta non riguarda solo poche frange di target super avanzato, ma trattasi di rivoluzione allargata a grosse fasce di pubblico.
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2 marzo 2006 @ 11:00
Maurizio Sala mi impressionò molto a un colloquio che sostenni in Armando Testa nel gennaio 2001. Fui ricevuto per intercessione di un caro amico, quasi parente, che allora era in AT. Credo che Maurizio non avesse in realtà il minimo bisgno di allargare la sua squadra. E io del resto non sapevo esattamente cosa volessi fare, allora, nè come comportarmi. Sapevo solo di voler lavorare nella comunicazione e mi credevo un gran bel creativo. Creativo nel senso comune, quello che ci si immagina di solito: il guizzo, il lampo.
In tre quarti d’ora di conversazione Maurizio mi mise di fronte a tutti i miei clichè e ai pregiudizi su un mestiere difficile e impegnativo come quello del pubblicitario.
Non se ne fece nulla, ovviamente, ma mi servì molto come lezione e ancora la ricordo con piacere.
2 marzo 2006 @ 11:40
“Se la marca desidera maggiore efficacia, deve a sua volta aiutare il sistema ad evolversi, non può limitarsi a stare a guardare senza cambiare in niente le proprie consuetudini.”
Quindi, se ho capito bene, un comunicatore manager non è un’idea così assurda. Speriamo.
3 marzo 2006 @ 08:37
Mi colpisce favorevolmente l’esordio di Maurizio Sala, che ricordo come oratore incisivo e concreto: “Mettiamoci a studiare”. Serve più competenza sul nuovo”.
Una frase che puo’ spiegare molto del mercato attuale: sia l’assenza della vera comunicazione dai media interattivi, sia l’assenza di Internet dai budget di chi fa comunicazione per “costruire il brand”. Ossia: il vero creativo di solito (salvo eccezioni) lavora in una agenzia classica, ma nessuno gli ha dato l’occasione per cimentarsi su un mezzo diverso, e qui le ragioni come sappiamo sono altre.