L’efficacia del contextual advertising
L’latro giorno in metro ho assistito ad una scena, e non per la prima volta, che mi ha fatto pensare alla reale efficacia del contextual advetising.
Che poi io abbia dei gravi problemi ad uscire dal frame lavoro è un altro discorso :)
Ero seduto in una delle prime carrozze, la quale aveva una porta fuori servizio, con il relativo foglio A4 recante la scritta “Porta fuori servizio” (appunto) appiccicato proprio sul vetro ad altezza faccia.
All’approssimarsi della fermata Sant’Agostino (irrilevante ai fini del racconto) almeno 4 persone si sono posizionate di fronte alla porta, in stato di semi-trance.
La carrozza si ferma e i 4 attendono l’apertura della porta, che come ovvio non avviene. Dopo qualche secondo realizzano (sempre senza leggere il foglio) e si precipitano veros l’altra porta, spintonando i malcapitati che stavamo tranquillamente leggendo Leggo e Metro.
Ora, mi rendo conto che il paragone forse è azzardato, ma mi pare che il messaggio (”porta rotta”) fosse il più contestuale possibile all’azione (”uscire dalla suddetta porta”). I destinatari del messaggio lo hanno però ignorato completamente.
Le motivazioni possono essere le più diverse, ma la ad blindness può essere altissima anche sul contextual.
Forse in determinate situazioni altri tipi di advertising sono più efficaci, forse dipende molto dal messaggio, forse il caso non è significativo. Però ripeto che mi ha fatto riflettere…
Sono fisime mie o il dubbio è venuto anche a qualcun altro?
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22 novembre 2006 @ 14:33
Hai perfettamente ragione, l’ad blidness è un fatto, avviene anche sul web ed io con un istituto la sto misurando. Nella fissazione dello sguardo esistono dei punti ciechi in cui se vi inserisci un messaggio non viene visto. Questo lo verifica con facilità ad esempio con strumenti come l’eyetracking.
22 novembre 2006 @ 15:11
però il contextual dovrebbe servire proprio a diminuire al massimo l’ad blindness, no?
22 novembre 2006 @ 15:44
Considerando che c’è pubblicità ovunque, mi sembra veramente il minimo che le persone sviluppino una cecità selettiva verso tutto ciò che le assomiglia.
Se vogliamo, la possiamo considerare un’euristica: pezzo di carta appeso nei posti più strani = pubblicità => ignora.
Come dire: divisa = poliziotto => chiedi soccorso… A certe cose, dopo un po’ non ci si pensa più: divengono parte di quel patrimonio di conoscenza che applichiamo automaticamente.
22 novembre 2006 @ 15:52
Nicola, sono assolutamente d’accordo con te, ma ribadisco che la contestualità del messagggio serve proprio ad evitare questo meccanismo. O almeno dovrebbe…
PS: io sono + per divisa = poliziotto = pericolo :)
22 novembre 2006 @ 16:34
Esattamente il contextual dovrebbe ridurre il fenomeno, ma come hai dimostrato non lo elimina completamente proprio perchè esistono questi punti ciechi. Questo è oramai dimostrato scientificamente.
22 novembre 2006 @ 22:19
Oltre che contestuali nel copy, forse per contrastare la ad blindness, occorre esserlo anche nel medium e nel visual: un A3 attaccato sulla congiuntura delle due porte poteva essere più ovvio e quindi più efficace…
23 novembre 2006 @ 18:27
lo avranno scambiato per un teaser :-)
1 dicembre 2006 @ 08:54
Forse era meglio usare un’icona, un simbolo, con una colore un po’ più acceso… La soglia di attenzione si è alzata sicuramente quindi bisogna trovare qualcosa in grado di penetrare le barriere dell’utente…
E’ successo anche a me di rimanere in trance in metropolitana e di precipitarmi all’atra porta…