Just back, Just Wired
Sono appena tornato dall’evento serale legato alla presentazione di Wired in versione italica (ma sono sobrio); dell’evento in sé c’è realmente poco da dire se non che era una festa con poco di progettuale, che decisamente non ha veicolato un’idea di progettualità per le persone curiose e innovative. E’ stata una festa, il che per molti va bene, ma non è stata secondo me molto coerente con il posizionamento dichiarato dalla copertina (e io spero che non risulti nemmeno coerente con il posizionamente reale dell’edizione italiana - che potrebbe anche differire da quello dichiarato - perché se così fosse rimarrei davvero deluso).
Ho comunque in mano il prodotto editoriale, che ovviamente mi è stato regalato all’uscita (ma questo non influenzerà le mie opinioni ;-) e di questi tempi ho apprezzato l’assenza di qualsivoglia gadget (spesso inutile) aggiuntivo. Dell’evento la cosa che più mi è piaciuta è stata il posizionamento strategico di mini-frigo contenenti il nuovo prodotto nato dalla joint venture tra Coca-Cola HBC Italia (che per chi non sapesse è il cosiddetto “imbottigliatore”, colui che si occupa di produzione e distribuzione dei prodotti C-C; HBC sta per Hellenic Bottling Company…e non ho mai approfondito il riferimento alla Grecia ma sono sicuro che ha una sua spiegazione razionale) e Illy. Il prodotto si chiama Illyssimo e il nome non mi piace molto, ma il prodotto in sé sì, mi è piaciuto come aroma - è un caffè fresco in lattina - anche se non sono riuscito a berne più della metà, sebbene la lattina sia di appena 150 ml di contenuto; probabilmente sono troppo abituato al caffè ristretto (un sorso e via).
Tornando al prodotto editoriale, premetto che non sono più granché abituato alla lettura della carta stampata ma ho trovato il prodotto piacevole da sfogliare, mentre tornavo a casa in metropolitana; direi comunque che la rivista mi è sembrata nella tradizione Condé Nast (quindi con una buona qualità di stampa nonché di grafica—e una certa quantità di pubblicità prima dei contenuti, anche se non ai livelli delle testate di moda). I contenuti, da me sfogliati ma non ancora approfonditi (per l’approfondimento approfitterò del viaggio in metro che mi porterà domani mattina al lavoro) mi sembrano all’altezza anche se ingabbiati in una maniera molto classica, da prodotto che si pone sin da subito come già maturo ed autorevole, il che può essere vero e dato dalla storia della versione statunitense della testata, ma io probabilmente ho ormai una visione differente di come dovrebbe avvenire la produzione editoriale.
Ribadisco di non essere più molto abituato alla lettura su stampa, ma proprio per questo credo che ormai il modo di produrre il contenuto che finisce fissato su stampa debba essere differente, passare per un processo di discussione collettiva (per usare un termine “nuovo” potrei chiamarlo crowdsourcing) che vada a sancire un metodo che in realtà è sempre esistito nella produzione di qualsiasi prodotto editoriale (un giornalista, per scrivere un’articolo prende spunto da qualcosa che ha letto o imparato da altri, anche tramite una discussione) e oltre a sancirlo amplifichi questo metodo (rendendo il prendere ispirazione da altri una chiamata diretta al contributo, alla discussione). Questo è il modo, secondo me, in cui deve nascere un prodotto editoriale: tramite lo stimolo rivolto a diverse persone di contribuire e l’incorporazione sotto forma di articolo ad opera di un autore principale (una sorta di coordinatore). Mi piacerebbe che Wired diventi questo (ma anche se non lo fa rispetterò la sua scelta)…cosa che per ora non mi sembra sia, dato che nessuno strumento di crowdsourcing - scusatemi nuovamente per l’uso del neologismo - mi risulta esistere e il sito web anche in questo momento è in versione “coming soon” nemmeno nel sito wired.it.
Prendete davvero tutto questo come un commento a caldo :-). E anche ormai un po’ da assonnato…
Nessun post simile.
19 febbraio 2009 @ 03:08
Buffo. Contemporaneamente a te stavo pubblicando un post assolutamente analogo nella prima parte, molto diverso nel finale, dove esprimo pessimismo per il futuro, seppur inficiato dalla cattiva prima impressione (data dalla festa/presentazione). Condivido quello che scrivi a livello ideale ma la mia paura è che il prodotto editoriale prenda tutt’altra strada, soprattutto per i motivi esposti, seppur superificialmente, nel mio post (società e gusti che vanno in una certa - deleteria - direzione). E il fatto che l’eidzione italiana si voglia dichiaratamente inserire nel filone “Focus” e “Jack” non mi da’ molti motivi per ben sperare. Detto questo… Speriamo bene!
19 febbraio 2009 @ 12:59
la prima cosa che ho pensato quando l’ho avuto tra le mani è stata “ma cos’è un altro “Focus”?” sono daccordo con roberto in questo senso. Sinceramente la pubblicità, dal mio punto di vista è troppa e i contenuti ne soffrono un po…vedremo i prossimi numeri :)
19 febbraio 2009 @ 16:54
Ecco io dall’annuncio dell’edizione italiana ho colto che non sarà Wired, ma praticamente una sorta di maschile con meno foto di veline.
Magari mi sbaglio. Ma credo che i lettori di Wired avrebbe voluto Wired. No?
20 febbraio 2009 @ 15:25
io avrei voluto le veline!