Informazioni al posto di opinioni
Starò invecchiando (in senso buono, spero di poter dire), ma devo ammettere che mi ha convinto questo articolo trovato sul sito di Internazionale.
Starò invecchiando perché circa 15 anni fa (quando avevo 16 anni, anagraficamente) pensavo che una accresciuta accessibilità degli spazi di discussione fosse in grado di sviluppare il rispetto tra persone e insegnare il dialogo, con l’allenamento e la pratica (questo per tagliare con l’accetta i miei pensieri di allora, in realtà più contrastati). Le considerazioni reali sono invece opposte e molto meno contrastate di allora: spesso - e soprattutto online - chi lascia un commento lo fa senza rispetto, dimenticandosi che sta usufruendo di un privilegio che gli viene dato e che non conosce minimamente le persone con cui sta parlando (quindi dovrebbe porsi con distanza ed educazione).
Detto questo, non rimpiango le illusioni giovanili ;-) ma credo che arrivare a quella forma di rispetto e dialogo che auspicavo non sia qualcosa di automatico (non è sufficiente dare uno spazio di espressione e scambio ne basta la scoperta del piacere di dialogare, cosa non per tutti evidentemente). Per questo mi è piaciuta molto la semplice idea - proposta nell’articolo su Internazionale - di chiedere ai lettori informazioni (quindi un contributo) al posto di semplici opinioni su qualcosa. Certo, questo può anche scremare la partecipazione, ma chi partecipa lo fa dando valore aggiuntivo al prodotto editoriale - e questo è molto importante, per un prodotto editoriale che deve essere utile per chi legge e non noioso come lo sono invece i cosiddetti “flame” o scambi di opinioni non supportate da argomentazioni.
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2 marzo 2009 @ 22:56
Avevo letto anch’io l’articolo su Internazionale e condivido nel pieno la segnalazione.
Saluti.
3 marzo 2009 @ 16:38
Si è vero.
Ci sono parecchi blogs afflitti da questo problema e credo specialmente quelli che si occupano di politica.
Per chi si ricorda Indymedia ( il precursore dei newswire collaborativi ) è stata cosi tanto afflitta da questo problema che ha anche ridiscusso il suo funzionamento.
Purtroppo il concetto che “chiunque può arrivare e scriviere ciò che gli pare” non è funzionale alla “comunicazione priva di interferenze”.
Nella comunciazione le interferenze sono tutti gli eventi che recano un disturbo diretto ed immediato al filo logico ed alla ricezione dei messaggi all’interno di un dialogo.
Io credo che sia giunta l’ora che nascano delle associazioni o scuole che insegnino cosa significa fare networking, personal branding e cosa significhi registrarsi su un social media, a tutti : GIOVANI E ANZIANI.
La diffusione di tali mezzi sta diventando talmente massificata che cè bisogno di una ALFABETIZZAZIONE LIBERA.
E’ una cosa importante che ha lo stesso valore dell’insegnare la comuncazione di massa della old economy, quando il telespettatore ignaro subiva messaggi “ipnotici” da un tubo catodico che non gli richiedeva di essere critico.
Oggi è diverso, internet “ti obbliga” ad “affilare la coscienza” ad avere astuzia e criterio, però la complessità dei suoi strumenti e della sua comunicazione NECESSITA’ DI ESSERE SPIEGATA AI PIU GIOVANI, PER DARGLI UNA OPPORTUNITA’ NUOVA.
3 marzo 2009 @ 23:25
Ho frequentato molto Indymedia tra il 2001 e il 2003, durante un periodo di eventi di portata storica; vi trovavo il punto di vista più utile sulle cose e sì, leggevo anche i flame provando il sentimento di noia di cui parlavo nel mio post. Nonostante questo ho un ricordo romantico dello spirito che animava il sito, della sua missione (citizen journalism quando ancora non se ne parlava come “trend”) e del fatto che vi ho trovato alcune cose molto formative per la coscienza (le “visioni” di Sbancor sull’economia, e chi se le può dimenticare…Sbancor che poi nella vita reale era un influente banchiere, tragicamente scomparso lo scorso anno). Detto questo, tornando ai “tecnicismi”, è chiaro che negli ultimi tempi Indy era diventata impraticabile, soffriva dei problemi di qualunque sito che trattava temi caldi. L’anonimato e il gioco sulle identità (per provocare e inquinare, risucchiare l’attenzione, far scadere il prodotto) ha fatto il resto.
Mi piace molto l’idea dell’alfabetizzazione, ma non credo sia solo questo quando, come per Indymedia, ci sono anche la malafede o il calcolo personale come moventi per inquinare un ambiente poco gradito. Forse l’educazione va estesa anche a come gestire la discussione con gli elementi “interferenti”.
Grazie per il contributo,
Sebastiano