Di nuovo su Wired
Scopro, tramite Manteblog, che Wired (cartaceo) e Wired.it hanno diverse direzioni e diversi direttori. Riccardo Luna aveva già sottolineato la cosa, mentre rispondeva al dibattito nato in Rete su Wired, per spiegare che egli parlava solo in relazione alla parte “di carta”. Comunque, a dirigere Wired.it è Isabella Panizza Cutler (giornalista che ha scritto per…Vogue e Vanity Fair). Cercherò di non giudicare con superficialità, ma per quello che posso vedere l’edizione online di Wired desta perplessità per l’impatto della pubblicità sui contenuti e per il fatto che non sembra ci sia l’intenzione di mettere un limite all’invadenza degli inserzionisti (full sponsorship; background che spuntano da sotto, da destra e da sinistra; Widget scaricabili sponsorizzati). Va tutto bene, concettualmente, purché una forma così invadente e dequalificante per il prodotto editoriale venga fatta al massimo una volta al mese, nell’interesse degli inserzionisti stessi (la gente impara molto in fretta ad annoiarsi a causa di una pubblicità onnipresente e inflazionata).
Parlando invece del prodotto editoriale, non è molto diverso da un’aggregatore di cose che si trovano già in Rete, con poca innovazione formale e sostanziale. Non ci sono “grandi firme” (alla Bruce Sterling) o contributi di personaggi particolarmente immaginativi. Il tentativo sembra quello di far qualcosa di meno impegnativo della versione di carta, il tutto però a scapito della profondità e della “personalità” (il tutto mi sembra un po’ anonimo). La scelta della redazione situata a Londra (cosa che fa pensare più a logiche di risparmio che non di qualità) desta altrettanti dubbi.
Piccola nota invece sul Wired cartaceo: ieri sera a Meet The Media Guru, Riccardo Luna ha celebrato il fatto che Condé Nast ha scelto l’Italia per la prima edizione “estera” di Wired. Ho visto qualcuno in sala fare un piccolo sobbalzo sulla sedia, e io stesso avevo il sentore che la realtà non fosse esattamente così. La realtà è che la prima edizione non US di Wired è nata in UK. Per essere precisi, l’edizione UK fu lanciata nel maggio 1995 e chiusa circa un anno e mezzo dopo, quindi l’Italia non è il primo paese estero dove Condé Nast ha scelto di localizzare Wired e inoltre Wired UK verrà rilanciato ad Aprile 2009…come dire che non si tratta di una preferenza per l’Italia ma del rimettere basi in Europa in generale. Dettagli, ma mi piace essere preciso :-).
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7 marzo 2009 @ 14:37
Ciao Sebastiano,
ma lo sai come si mantiene un prodotto editoriale sul web nella grandissima parte dei casi? Con la pubblicita’. Purtroppo se Wired decidesse di limitare la pubblicazione di campagne una volta al mese avrebbe il destino segnato per il suo conto economico. Mi stupisce che ci si continui a scandalizzare della pubblicita online senza rendersi conto che e’ quella che alla fine consente alla persone di accedere a contenuti editoriali professionali e di valore. Non entro nel merito del tuo giudizio su Wired ma dico solo che cosi’ come per altri siti, portali etc. e’ l’unico modo per potersi permettere di avere la rete che abbiamo oggi.
7 marzo 2009 @ 15:08
Ciao Layla,
Tanto per scansare gli equivoci, il mio post era scritto proprio dal punto di vista di una persona che in un’agenzia gestisce gli investimenti “digital” di diverse aziende e ci tiene quindi alla crescita di questo mercato pubblicitario. Proprio per questo, penso sia necessario essere anche critico quando vedo una qualità che, a mio parere, può essere poco soddisfacente (o poco efficiente) per l’inserzionista. Una pubblicità inflazionata non fa bene prima di tutto a chi la sta pagando, detto in soldoni. E io non parlavo male della pubblicità, ma di quella fatta (secondo la mia modesta opinione) tecnicamente male, quella poco attenta alle persone che la guardano. E conosco bene come si finanziano i prodotti editoriali online (anche se non costituiscono il 100% della rete); proprio per questo credo dovrebbe essere anche interesse degli editori proporre ai propri “finanziatori” soluzioni pubblicitarie efficienti, altrimenti è anche possibile che gli investimenti si spostino altrove o non facciano il tanto auspicato “balzo” dai mezzi tradizionali a quelli digitali (o anche che lo facciano, ma in misura comunque minore a quanto rispetto a quanto vorremmo)…
9 marzo 2009 @ 10:13
Certo che aprire una testata cartacea oggi come oggi, mentre le più grandi stanno chiudendo mi sembra molto coraggioso…
Non si sentiva, secondo me, l’esigenza di Wired cartaceo… ma giudicherò quando lo leggerò… non ne ho avuto ancora il tempo… ;(
10 marzo 2009 @ 14:47
Ciao Sebastiano,
io penso che si debba avere un po’ di tolleranza, come dire, si fa presto a criticare ma poi bisogna pero’ proporre delle soluzioni concrete e che generino fatturato. L’adv online e’ certamente perfettibile ma rispetto agli altri media ad esempio e’ piu’ efficacie ed efficiente. Non e’ peraltro semplice far tornare i conti se si propongono forme di adv alternativo anche perche’ la cosiddetta tabellare e’ quella che sta facendo girare il business e sostenendo la grandissima parte degli editori online. Quindi anziche’ partire con le critiche cerchiamo di difendere questa industry che e’ gia’ sotto attacco dell’establishment che vorrebbe lo status quo ovvero tanti investimenti in televisione e gli altri media classici e poco su internet che chissa’ perche’ deve giustificarsi sempre rispetto agli old media che generano sempre meno valore e nonostante questo continuano a rappresentare oltre il 90 percento della market share…
10 marzo 2009 @ 21:26
Ciao Layla,
è proprio come dici tu, quando parli del fatto che l’adv online deve sempre giustificarsi rispetto ai media classici (daily stuff, mi vien da dire); cercando il lato positivo, io credo che questo sia un punto di forza per le persone che si formano in questo ambito…mi sembra che le professionalità della comunicazione digitale siano sopra la media quando si tratta di conoscere, valutare, proporre, misurare; sono anche convinto che le evoluzioni più interessanti nel mondo dei media stiano venendo inventate e propagate da persone impegnate nella comunicazione digitale (e non da altre).
Comunque, è forse l’estrema conseguenza di doversi sempre giustificare a rendere critici verso il settore in cui operiamo (critici anche verso quel che si fa, perché dobbiamo essere convinti prima di tutto noi, per riuscire a contagiare gli altri con le nostre idee…e un po’ di autocritica serve anche a questo).
Detto questo, probabilmente sono stato un po’ intollerante a prendermela con un sito in particolare, prevedendo però che un certo modo di pubblicità potrebbe entrare in difficoltà o perdere credibilità (e non di certo perché sono io a dirlo); le alternative però sono già presenti, e quando non presenti si possono far nascere anche con il dialogo quotidiano tra gli investitori (quindi le agenzie) e gli editori. Poi, per caso, mi trovo da una parte della barricata in cui devo pensare agli interessi degli inserzionisti prima che a quelli degli editori (sebbene anche la sorte dei secondi - magari non proprio di tutti quanti - mi stia a cuore); non sento quindi di essere nella posizione migliore per trovare soluzioni alternative all’editoria sostenuta dagli investimenti pubblicitari. Mi trovo invece nella posizione in cui posso porre questioni, problemi e al massimo dare spunti (anche modesti) per alzare la qualità offerta agli inserzionisti (anche se i problemi di editori e inserzionisti sono simbiotici).
L’altro mio impegno è invece far diminuire il 90% di cui parli :-), non tanto per questione ideologica quanto perché sono veramente cospicui gli investimenti fatti secondo una logica conservativa (poco attenta, poco razionale), che invece si potrebbero spostare altrove (sempre però motivando questo spostamento). C’è anche il discorso dei sistemi di misurazione dei media classici, in particolare la TV, che a mio parere tendono a sovrastimare la copertura che questi possono dare (anche se il confronto non può essere solo sui punti di reach %), facendo sfigurare prima di tutto proprio l’online.
Anche alla luce di questo, però, l’ottica in cui ragioniamo dev’essere sempre media neutral, quantomeno per non cadere nei metodi delle forze che combattiamo :-).
11 marzo 2009 @ 15:26
sinceramente non mi infastidisce la troppa pubblicita’, perche’ semplicemente non la noto (a parte le odiose intro…). Concordo quindi con entrambi (Layla e Sebastiano): Wired fa bene a guadagnare quanto piu’ possibile con la pubblicita’ online, tanto piu’ che il mensile cartaceo non credo durera’ molto e immagino che la sola versione online andra’ avanti; d’altro canto questo tipo di overload non fa certo bene agli inserzionisti, che avranno una resa bassissima da questo tipo di advertising. Considerando pero’ l’attenzione all’ROI dei grossi investitori italiani immagino non ci sia troppa preoccupazione, ahime’.
Quello che pero’ non tollero e’ la commistione di advertising e contenuti senza che sia chiaro per il lettore, ed e’ quello che Wired fa nella barra destra. In alto infatti specifica “Advertising”, ma poi mischia i contenuti, inserendo “Wired reviews”, i video di Wired, i contenuti del giornale cartaceo, inframezzati da advertising. L’intento e’ chiaramente quello di far passare i link dopo il primo come redazionali, visto che il look and feel e’ il medesimo.
Puoi mettere tutto l’advertising che vuoi su un sito, ma non puoi cercare di “fregare” l’utente. Specialmente se sei Wired e ospiti articoli di tanta gente che predica di web 2.0, onesta’ e liberta’ sul web…