Quando la pubblicità e le audience di massa non bastano…
Un interessante articolo tradotto in lingua italiana su Internazionale.it spiega che i costi di banda richiesti dai milioni di video amatoriali (e spesso vacui, poco rilevanti) caricati su Youtube conducono la piattaforma a una consistente gestione in perdita. Il significato è che Youtube non riesce a ripianare i costi di gestione con gli investimenti pubblicitari (per ora unica voce di introiti contemplata), in quanto gli investitori pubblicitari sarebbero poco interessati ad essere presenti in associazione a video - caricati liberamente dagli utenti - di scarsa qualità. Da qui la partnership di Youtube con diversi distributori di contenuti di qualità, per avere una leva convincente nei confronti degli investitori pubblicitari; tentativo però difficile fino a che la maggior parte dei contenuti che risucchiano banda (e generano costi) sono quelli amatoriali e di bassa qualità.
Su questo articolo (o meglio, sullo scenario che dipinge), ho tre considerazioni:
1) Ciò che è rilevante per un gruppo di amici, non lo è per la massa:
Youtube è, già detto e risaputo, molto ricco di video poco qualitativi in senso generale, ma probabilmente rilevanti per un ristretto gruppo di persone o anche per singoli. Per chiarire con un esempio estremo: in generale direi “chi se ne frega di vedere il resoconto di un giovane un po’ dislessico a proposito di una serata qualsiasi in un locale qualsiasi”; ma se io ero a quella serata, la cosa potrebbe interessarmi in senso relativo. Il vero problema è che questi contenuti non cambiano la giornata di nessuno, quindi interessano per 10 minuti al massimo; difficile costruirvi sopra un qualsiasi modello di servizio (prima ancora che di business). Ammesso poi che Youtube riesca a ripianare i conti, che interesse avrebbe nel finanziare la possibilità per le persone di postare - nella maggior parte dei casi - video per nulla interessanti per milioni di persone e rilevanti - ma solo per qualche minuto - per un gruppo ristretto di persone? Dovrebbe averne un grosso guadagno oppure secondo me non ne avrebbe alcun interesse.
2) L’investitore pubblicitario è davvero così attento ai contenuti di Youtube e in generale dei media sui quali fa pubblicità? Secondo me, non lo è, altrimenti avremmo già visto mettere in discussione gli investimenti su molti altri mezzi. L’investitore pubblicitario classico si interessa alle audience (e per questo gli investimenti in TV continuano ad andare per la maggiore). L’investitore pubblicitario evoluto si dovrebbe interessare anche al contesto, ma non per snobbare i mezzi dove il contenuto fornito dall’editore (o dalle persone, nel caso di Youtube) è scarso o poco rilevante, bensi per produrre a sua volta un contenuto pubblicitario che sia rilevante rispetto al contesto e alle persone che lo popolano (senza indulgere su cosa i navigatori fanno online, o che tipo di video postano, ecc…).
3) Youtube non ha le credenziali per diventare un sito pay-per-view. Anche qualora si dotasse di una library di contenuti appetibili, il sito è comunque nato come piattaforma di sharing & community, non come veicolo per una visione di contenuti di qualità, ma su questa sua caratteristica - che è il suo DNA fa fatica a costruire secondo me un modello duraturo di servizio (come detto al punto 1). Nonostante tutto ciò, il tentativo da parte di Youtube di diventare piattaforma di visione “televisiva” è in corso, come dimostra Youtube for Television.
Secondo me Youtube e molti altri social network sono aggregatori assai deboli in termini di profondità e di legame tra utenti, per cui non possono stare insieme e non potranno quindi creare le condizioni per trovare un giorno una fonte duratura di introiti.
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8 giugno 2009 @ 20:03
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