Oscar E-commerce 2003
OK, la notizia non è freschissima, ma certamente dà qualche spunto per valutare lo stato dell'arte dell'e-commerce in Italia.
Il 21 giungo sono stati proclamati i vincitori della edizione 2003 degli Oscar E-commerce organizzata dal Comitato E-business del Ministero della Attività produttive.
Ecco i vincitori per ognuna delle 4 categorie:
elettronica di consumo -> Factotus
banche/assicurazioni -> ING Direct
viaggi/cultura/tempo libero -> IBS
premio speciale -> Yoox
I finalisti erano, in ordine di categoria: Bow, CHL, Mediaworld; Bol, Lastminute, TicketOne, VolareWeb; 6Sicuro, Carta Facile, WeBank, Zuritel; GlamOnWeb, Kappastore, Saninforma, Volendo.
Al di là della decisione condivisibile o meno e del concetto piuttosto allargato del termine e-commerce, questa scelta è abbastanza indicativa dello stato del mercato italiano, e i dati del politecnico di Milano aiutano nell'interpretazione.
Nella maggior parte dei segmenti di mercato i player significativi sono pochissimi, in alcuni casi anche uno solo, mentre gli altri puntano quasi esclusivamente sui motori di ricerca dello shopping, come Kelkoo, Costameno, Trovaprezzi. Gli accessi e le vendite generate da questi siti sono nella stragrande maggioranza molto superiori rispetto a quelle generate dal sito vero e proprio dell'azienda. Quindi il brand ha pochissima forza e il prezzo assume il ruolo principale.
Andiamo con ordine. Per quanto riguarda l'elettronica di consumo gli operatori sono molti, e forse a causa degli scarsi margini nessuno riesce ad imporsi come leader, nemmeno MediaWorld, che comunque punta solo limitatamente sul web. 4/5 player (CHL, MW stessa, MrPrice, ePrice, Bow) possono vantare una clientela affezionata e fidelizzata, mentre gli altri devono agire esclusivamente sulle leve del prezzo e dell'assortimento per essere il più visibili possibile all'interno dei motori. Factotus sta crescendo e sta lavorando bene, curando il sito, le promozioni e tutto il resto, ma al momento non credo abbia un fatturato che possa competere con i big.
ING Direct è praticamente monopolista nel proprio settore, visto che non esistono altri player puri simili per business model e notorietà del marchio. In questo caso chiamarlo e-commerce è forse un po' azzardato, ma il sito è effettivamente lo strumento principale di utilizzo. I tassi continuano ad abbassarsi ma il modello sembra funzionare alla grandissima.
Nel settore libri i siti in gioco sono sostanzialmente due, IBS e Bol, con Amazon (per lo più UK) che subentra per una nicchia di mercato che acquista libri tecnici o in lingua originale. In questo caso la competizione si basa soprattutto sull'assortimento e sulle eventuali promozioni, ma la componente fiducia gioca un ruolo fondamentale: di solito chi ha iniziato a comprare su IBS continua su IBS e viceversa. I veri competitor sono la Feltrinelli e i supermercati.
Anche Yoox non ha praticamente concorrenti in Italia, dove la notorietà sta salendo a dismisura, così come il fatturato. Il modello è solidissimo e la stickyness elevata. Da evidenziare che Yoox rappresenta praticamente l'unico esempio di sito di e-commerce italiano che si è espanso all'estero, compresi USA e Giappone. Forse Esperya aveva iniziato bene in questo senso, prima di venire drasticamente ridimensionato.
Il segmento delle assicurazioni gode di ottima salute, ma anche qui il numero di operatori si sta restringendo, con Direct Line che ha acquisito Royal e All State.
In generale il mercato italiano appare ancora poco maturo, con una scarsa concorrenza e soprattutto con pochissima considerazione. Rappresenta un'alternativa solida per un determinato target di persone, che però sembra essere lo stesso da troppi anni. La scarsa informazione e l'analfabetismo informatico (ancora altissimo, checchè se ne dica) costituiscono le principali barriere, ma anche la concezione del web soprattutto come divertimento o fonte di informazioni non contribuiscono a migliorare la situazione.
L'impressione è che prima di vedere un e-commerce davvero diffuso in Italia dovremo ancora aspettare qualche anno.
Cresce bene l'Internet in Europa?
Stando alle ultime rilevazioni di Nielsen//NetRatings il numero complessivo di utenti internet attivi con connessioni da casa è cresciuto in modo significativo tra aprile e maggio di quest'anno.
Il dato si riferisce ad un numero limitato di nazioni ed è tuttavia interessante per quello che più da vicino riguarda la realtà europea; in Italia infatti il numero di utenti attivi risulta essere stabilmente al di sopra di 15 milioni (15.821.701 a maggio 2004) il che ci porta a superare nettamente altre nazioni come l'Olanda (7.833.391), la Spagna (8.474.442) e, anche se per uno scarto minimo, la Francia (14.308.563)
Restano lontanissimi le nazioni per le quali il web ha da sempre avuto una penetrazione ed un valore maggiore come la Gran Bretagna (20.955.636) e la Germania (26.948.420).
A livello aggregato gli utenti internet attivi nell'area europea sono poco più di 101 milioni con in media 22 sessioni create per mese ed un tempo di sessione pari a poco più di 31 minuti.
Sempre da Nielsen//NetRatings arriva un'altra buona notizia per l'Italia; l'European Regional Index on Internet Audience per il mese di Aprile 2004 indica infatti Tiscali come "primatista" europeo a livello di unique visitors (13,7 milioni) con reach pari al 13,4% nell'universo delle connessioni home.
Un retailer non puro (prima parte)
Mi sono trasferito a Londra da qualche settimana, credo che ormai sia una cosa nota per chi legge IMlog, non a caso i miei ultimi post hanno come riferimento il mercato inglese. Nel fine settimana ho compiuto il mio ennesimo trasloco, con i soliti problemi del caso e che vi risparmio. Ciò che non vi risparmio è invece la mia ennesima esperienza di acquisto da Argos, dove mi sono recato per acquistare alcuni accessori per la nuova casa.
Argos è un modello di azienda che in Italia non esiste. Si tratta di un retailer che distribuisce attraverso catalogo, come una volta facevano Vestro e Postalmarket, con un assortimento ben più ampio e profondo. Sto parlando di migliaia di referenze, che vanno dall’abbigliamento agli accessori per la cucina, dai mobili per il giardino alle biciclette. Si può comprare praticamente di tutto.
La vendita per corrispondenza non è l’unico modo per fare shopping da Argos. Chi vuole acquistare un prodotto senza dover aspettare la consegna, può recarsi presso uno dei punti di vendita sparsi sul territorio presso cui acquistare il 15% dei prodotti a catalogo. Non tutti i prodotti, solo quelli con un peso volumetrico contenuto. Gli articoli più voluminosi sono consegnati solo al domicilio dell’acquirente. Il perchè è banale: i negozi di Argos si trovano in luoghi ad alta pedonabilità. Luoghi dove un magazzino troppo grande non sarebbe sostenibile economicamente per una retail che cerca di differenziarsi dagli altri con i prezzi più bassi del mercato. Solo qualche mese fa è stata lanciata una nuova catena di negozi che arrivano ad avere fino al 30% dei prodotti a listino.
Nessuna concessione all’estetica del negozio. Entrando nel punto vendita, si notano solo alcuni banconi su cui sono fissati dei cataloghi con le pagine plastificate. Una volta individuato il prodotto sul catalogo il cliente non deve far altro che inserire il codice del prodotto nel display agganciato al bancone per verificarne la disponibilità, compilare il modulo con il codice e andare alla cassa. Una volta pagato il conto, il prodotto acquistato viene consegnato al banco delle consegne per il ritiro. Nessuna o poche possibilità per toccare con mano la merce, il processo sarebbe di nuovo troppo dispendioso.
Un processo semplice, comodo e veloce, che non lascia nulla agli amanti del browsing puro. Per questi viene loro in soccorso il sito di Argos: semplice, intuitivo, ben strutturato e facilmente utilizzabile.
(Fine prima parte)
Le strane leggi del mondo reale.
A quanto pare anche nei lidi d'oltreoceano non mancano delle leggi che, applicate all'ambito delle comunicazioni elettroniche, generano effetti discutibili (anche se, sia chiaro, non applico la filosofia del "mal comune...").
Leggo su Wired, che in Florida le autorità stanno considerando di tassare l'utilizzo di reti private.
Il titolo dell'articolo parla di reti casalinghe, ma in realtà sembra che l'ambito di applicazione si possa estendere a qualsiasi rete telematica (LAN, WAN, VPN, wireless o wired) che si sostituisce alle comunicazioni tramite provider di telecomunicazioni.
La legge originaria è del 1985, e nasce per tassare quelle aziende che fanno uso di reti interne per comunicare senza utilizzare le compagnie telefoniche locali. Il ragionamento, dal punto di vista delle autorità, è semplice: se le aziende non usano le compagnie telefoniche, io perdo una parte di tasse (il corrispondente dell'IVA italiana), e quindi da qualche parte devo recupare questa perdita.
Nel 2001 l'ambito di applicazione della legge si è esteso ad ogni rete di comunicazione per voce o dati.
Nell'articolo si parla delle difficoltà di applicazione di una legge del genere, soprattutto nello stabilire come calcolare il cosiddetto "imponibile"; basti dire che, in teoria, ogni tipo di rete casalinga o di "small businesses" potrebbe essere tassabile, anche quella per mettere in comunicazione due pc e una stampante.
Quello che mi preme dire è che, nel momento in cui la comunicazione, e quindi la parola, viaggia su byte, tassare le reti significa mettere un'imposta "a sillaba" sull'uso della parola stessa.
Speriamo solo che qualcuno dei legislatori nostrani, che pensano ancora agli Usa come ad una frontiera indiscutibile (mentre sappiamo che, a partire dal Digital Millenium Copyright Act, ma anche con il Total Information Awareness, non è sempre stato così), non pensi di prendere spunto...
Vola che ti passa
Mi pare valga la pena segnalare questa email inviata ai clienti inglesi di Easyjet il giorno dopo l'esclusione della loro nazionale. Un ottimo esempio di creatività emozionale, tesa a suscitare una reazione immediata presso tutti coloro che in queste ore si stanno lamentando del gol non concesso alla formazione inglese. Ne potrebbe trarre spunto anche la nostra compagnia di bandiera... Forse nel prossimo millenio :-)
1Gb di innovazione
Google si conferma ogni giorno una delle aziende più innovative nel panorama high-tech mondiale. Uno dei suoi ultimi prodotti, GMail, col suo Gb di casella ha rivoluzionato il mercato delle e-mail gratuite ancor prima del suo lancio ufficiale (il servizio è ancora in fase beta) creando una sorta di gioco al rialzo tra i vari ISP. Si tratta di un'astuta mossa di marketing in un momento che precede la quotazione in borsa della società di Mountain View o qualcosa di più? Io penso che si tratti di qualcosa di più, ecco il perché.
"1Gb" come potente strumento di marketing
Quando si parla di tecnologia a persone che di tecnologia capiscono poco o nulla i numeri tornano sempre utili. Si pensi per un momento ad i processori: Intel e AMD vendono a milioni di persone delle scatolette che nessuno sa bene a cosa servano. Ecco quindi che han pensato bene di associare la frequenza di lavoro del processore alla potenza del computer. Ci sono riusciti talmente bene che oramai sono in pochi a sapere che il procesore non è tutto, ma che servono anche una buona scheda madre, una buona memoria ram e altro ancora per avere dei tempi di calcolo rapidi.
Lo stesso vale per la posta elettronica. La maggior parte delle persone si disinteressa dell'interfaccia utente o della velocità di risposta dei server ma vuole semplicemente una mail attraverso cui gestire la propria posta elettronica. Poco importa se si tratta di Hotmail, Yahoo!, Lycos o GMail: la cosa importante è che funzioni. Ecco dunque che potendo scegliere tra una casella di posta da 2Mb, una da 6Mb, una da 15Mb ed una da 1Gb, si sceglierà quella con la capacità maggiore, tanto è tutto gratis.
"1Gb" è più di semplice marketing
Il primo computer che mi è stato regalato, siamo nel 1997, aveva un disco fisso di 2,5Gb. A quei tempi si trattava di una memoria di tutto rispetto (la media, se non ricordo male era sugli 800Mb-1Gb) e le domande del tipo "cosa te ne fai di tutto quello spazio?" non sono affatto mancate. Allora il computer veniva usato per salvare pochi documenti di lavoro per cui 2,5Gb sembravano un'enormità. Oggi è cambiato il modo con cui viene utilizzato il computer: sul disco fisso vengono memorizzati film, musica, immagini e 2,5Gb non sono sufficienti neanche per installare il sistema operativo. Lo stesso sta accadendo con la posta elettronica: uno dei primi commenti che ho sentito riguardo a GMail è stato proprio "cosa te ne fai di 1Gb di casella?". Per rispondere a questa domanda facciamo un passo indietro. Fino ad oggi la e-mail è stata utilizzata in modo limitato per due motivi:
La tipologia di connessione troppo lenta;
La capacità limitata delle caselle di posta elettronica.
La diffusione sempre più capillare della banda larga sta lentamente risolvendo il primo problema, tanto che per i possessori di una connessione ADSL condividere file di qualche Mb è del tutto normale. A questo punto avere una casella di posta elettronica della capacità di qualche Mb che impedisce di inviare/ricevere allegati di dimensioni non superiori a qualche centinaio di Kb può essere una seria limitazione. Mi sembra evidente che Google (e a tutti quei servizi, come Yahoo! Mail che l'hanno seguita a ruota) voglia cambiare il modo con cui viene utilizzata la posta elettronica trasformandola da semplice mezzo per la ricezione/invio di messaggi di testo in vero e proprio mezzo di comunicazione multimediale attraverso cui condividere non solo testo, ma anche filmati, musica ed immagini. Ecco che allora 1Gb di spazio non sembrerà più così tanto.
Cabir traghetta i produttori di Antivirus nel Mobile
Detta così pare addirittura un poco faziosa, ma è comunque la verità: Cabir, il primo Virus Worm in grado di infettare i telefonini (per ora solo gli smart phone, a metà strada fra i normali telefoni cellulari ed i PDA) ha fatto la sua comparsa.
Il virus si diffonde da un telefono all'altro utilizzando la connessione senza fili Bluetooth. Una volta che ha individuato un altro apparecchio in zona, si invia facendosi passare per un file di sicurezza. Il file deve però essere accettato dall'utente, prima di installarsi nel nuovo telefono e provare poi a passare su un altro.
Questo inaugura di fatto l'ingresso dei produttori di antivirus nel gigantesco mercato del Mobile, una prateria sconfinata e alquanto fertile.
Insomma se in un prossimo futuro squillerà il vostro telefonino auguratevi che non ci sia Cabir dall'altra parte...
iTunes in Europa: boom o flop?
Due giorni fa, il 15 giugno, il servizio iTunes di Apple è stato ufficialmente lanciato anche in Europa (ma solo ad ottobre in Italia).
Come probabilmente sapete tramite questo "negozio musicale" online è possibile scaricare brani in formato digitale al prezzo di 0,99 € l'uno.
Quali saranno le reazioni del mercato del vecchio continente?
Le considerazioni da fare sono diverse e, sinceramente, ne vedo una sola a favore del caro vecchio Steve Jobs: l'affetto dei mac-users per i prodotti della mela.
iTunes infatti è sicuramente un prodotto ben fatto, economico e attraente, ma solo per chi ha un Mac o quantomeno un iPod.
Considerazione 1: sarà banale, ma perchè gli utenti Windows dovrebbero pagare per avere brani che trovano senza nessun problema tramite il P2P? Per paura delle nuove leggi? Permettetemi di dubitarne. O la normativa sui vari Kazaa, eMule, WinMX e soci diverrà più chiara e rigida o nessuno pagherà per ciò che ha già gratis. Si è già visto nel passaggio "from free to fee" per la maggior parte dei servizi web. Ovviemente gli utenti Mac, che hanno circuiti P2P molto poco forniti hanno visto in questo Music Store una possibilità in più che per gli altri utenti c'era già.
Considerazione 2: incredibile a dirsi ma il formato scelto per la musica da scaricare non è l'Mp3. Questo ovviamente ne limita non poco l'utilizzo. Certo, probabilmente in una logica di upselling potrà spingere qualcuno ad acquistare un iPod, ma quanti, considerando che è il lettore nettamente più caro sul mercato?
Considerazione 3: perchè scegliere il software Apple quando altre società (Sony, Od2, ecc.) hanno un prodotto simile? Gli utenti Mac lo faranno per passione e per abitudine (ed anche perchè non hanno alternative...), ma gli utenti Windows, che storicamente non amano la società di Cupertino?
Alla luce di questo non mi sento di inneggiare al boom della vendita di musica online in seguito all'apertura dell'iTunes Music Store, ma sinceramente anche quando aprì negli USA non avrei creduto ad un successo simile: 70 milioni di brani scaricati (ma sono poi così tanti?). Forse ho sottovalutato i mac-users, ma considerando che rappresentano solo il 5% del mercato, se il P2P dovesse sul serio essere condannato a morte vedo la concorrenza favorita.
Jobs dice che iTunes è meglio del P2P perchè "Lo scaricamento è migliore, la qualità audio è migliore, c'è l'anteprima di trenta secondi, le copertine originali e, soprattutto, non è un furto". Convincerà i milioni di utilizzatori di Kazaa?
La brochure che non ti aspetti
È da qualche settimana che vivo a Londra e durante il fine settimana sono solito comprare il The Guardian. Un'impresa non da poco in considerazione del volume e del numero di inserti delle edizioni del weedend.
All'interno del quotidiano si trovano ovviamente brochure promozionali soprattutto di aziende di computer (Dell su tutti) così come succede regolarmente anche da noi. In uno degli scorsi numeri del fine settimana però, ho trovato qualcosa di inaspettato. Una bella brochure di Amazon.co.uk in formato A4 ripiegato, con 12 pagine di prodotti, per metà dedicate all'elettronica di consumo e per metà alla casa e al giardinaggio, oltre alla classica promozione di consegna gratuita per acquisti superiori a £25.
Forse non mi dovrei sorprendere come residente del Regno Unito, in fondo il 60% della popolazione inglese è online. Mi sono però sorpreso come utente italiano di scoprire che l'acquisto online sia diventato così diffuso al punto che Amazon decida di investire off-line per raggiungere il proprio target.
Forse a pensarci bene l'utente inglese non ha tempo per navigare sulla rete durante la settimana e la comunicazione online non è in grado di raggiungere il target di Amazon. È anche vero che la dispersione è ormai così ridotta che l'investimento è comunque giustificato. Ma la domanda che più mi assilla è se arriverà anche per il Corriere e Repubblica il tempo in cui avranno tra i loro inserti anche un leaflet di Yoox o IBS?
La nuova frontiera? L'Europa.
Un'analisi di due giornalisti del Financial Times sulle dichiarazioni di alcune aziende americane che si aspettano fatturati in crescita soprattutto fuori dal proprio mercato interno.
È ora che i competitor di queste big company americane si preoccupino? Sì ma quali competitor?
Insomma eBay, Yahoo, Amazon, Google si preparano a conquistare il mercato globale. Si scontreranno contro pochi concorrenti esterni e forse in questi anni hanno anche imparato a differenziare un minimo l'offerta nei diversi mercati. Potrebbe essere altrettanto vero che la domanda interna sia ormai prossima al suo limite fisiologico.
Buona lettura.
The biggest US internet companies enjoy huge economies of scale and in some cases overseas revenues are expected soon to overtake domestic sales.
By CHRIS NUTTALL and RICHARD WATERS
10 June 2004
Financial Times
Richard Waters and Chris Nuttall ask whether this is more than merely dotcom bluster. Broadband pushes the buttons. Executives at eBay, the internet auction site, have taken to displaying a provocative chart when they speak at public events. It shows a Dollars 1,900bn global market of goods that do not fit well into the traditional retail system, because the items are secondhand, represent the end of a product line or are in scarce supply.
"In a sense, we think that entire market could be available on eBay," says Bill Dobb, head of the US company's international operations.
A similar outsized ambition is brewing at Yahoo, the internet portal company. "We're a global network, we have a great brand globally," Terry Semel, the former Hollywood mogul who has presided over a resurgence of the dotcom pioneer, told analysts last month. Yahoo's strategy "is about taking a bigger share globally", he said.
Yahoo now measures itself against the worldwide online advertising market. It says it accounts for about 15 per cent of the market - and aims to raise that share.
Is another bout of American dotcom hubris in the works? If so, any internet bust would play out on a much bigger international stage than the 2000 collapse that brought an end to the first burst of growth of dotcom companies.
There are good reasons, though, to think that this latest flourish of US dotcom ambition will prove more resilient.
That should ring alarm bells at rivals around the world, whether they are fledgling e-commerce companies or traditional retailers, which are turning increasingly to the internet.
For one thing, the claims of companies such as Yahoo and eBay are more than mere bluster. Recent experience bears out some of the grandiose promises of the late 1990s about the global potential of selling to consumers over the internet.
At eBay and Amazon, the US online retailer, international revenues are on track to eclipse domestic sales soon and the international businesses of all the leading US internet companies are booming (see chart). eBay already claims to be the biggest e-commerce site - measured by the value of goods sold - in a dozen countries, from the UK and Germany to Argentina and South Korea.
US companies now stand on the verge of the next big online market, and one that is poised to become global even faster. Google and Yahoo - with Microsoft in hot pursuit - dominate the internet search business. Google distributes its search results in 97 languages, often through partnerships with local internet companies, and gets more than half its traffic from outside the US.
The contextual advertising, which is displayed alongside the results of internet searches, is in some ways closer to e-commerce than it is to traditional branded advertising. By charging only when users click on the advertisements, the search companies are really selling business leads. It is not a big step for the search companies from this "per click" pricing to sharing in the actual transactions that result.
Barry Diller, chief executive of InterActive and one of the US's most successful entrepreneurs, has assembled a conglomerate with a big foothold in the biggest e-commerce market of all - online travel.
According to Forrester, the research group, selling travel packages and tickets to events will remain among the biggest online businesses for some time. Given Mr Diller's appetite for acquisitions and avowed intent to have an international presence, it is no surprise that the imminent purchase of foreign travel sites is rumoured almost daily.
Behind all of these international ambitions lies a belief that the internet is a scale business. If retailing has been a local affair, selling over the internet turns the old rules on their head. Because they do not need to open bricks-and-mortar stores, e-commerce companies do not face the high costs that come with expansion for ordinary retailers. Instead, much of the investment in a centrally run e-commerce company is fixed.
For Amazon, that has been a central part of its business model: it uses its scale to drive down prices and offers free shipping on its five non-US sites just as it does at home. In its more developed categories, such as books, Amazon already buys globally.
The ability to invest heavily in the technology platform on which businesses such as Amazon are founded is another benefit of scale.
"One of the great myths of the 1990s was that there are no barriers to entry in e-commerce," says Robin Terrell, head of Amazon's UK operations. "But actually building scale is incredibly complex and hard."
The internet search business could turn out to be the ultimate scale business on the internet. Yahoo, for instance, now has 500 engineers working on its search engine. Apart from Google and Microsoft, that is the sort of effort that few others could match.
"The (search) technology is very extensible across languages," says John Marcom, head of Yahoo's international operations. "This definitely is one area where scale is an advantage. Without a big distribution network, it's difficult to invest and expand."
The advertising business that has grown up alongside the search engines could also turn into a common international market. "The value of a click has not at all evolved into a global standard," says Mr Marcom. "But there is no reason to think it won't in the end." eBay and Amazon are competing to use their technology platforms to attract local retailers to their sites. Nearly a quarter of the sales on Amazon's websites is now conducted on behalf of these third-party sellers.
For pure e-commerce companies outside the US, the power of these increasingly global platforms is hard to match. Few have been able to reach the same scale in their own domestic markets or to succeed in building multinational businesses of their own. Those that do are quickly becoming acquisition targets for US companies. eBay has just purchased Germany's largest online classified advertising site for cars, and Yahoo this year snapped up Kelcoo, the French company that was on the way to building a Europe-wide service that allowed consumers to compare the prices of rival vendors.
If similar deals remain scarce, it is largely because of the lack of sizeable companies to buy. "There are very, very few that have broken through to an international scale, where it's worth us thinking about" making an acquisition, says Mr Marcom.
What, then, could go wrong? The ambitions of the US e-commerce multinationals are built on the belief that e-commerce in the rest of the world will unfold in the way it has in the US. "In the last year and a half, we took the business model we have in the US and really started to enforce it" elsewhere, says Jerry Yang, a Yahoo founder.
So far, according to the leading e-commerce companies, it has proved straightforward to export these business ideas. The spectacular overseas growth of companies such as Amazon and eBay suggests they are right.
Hellen Omwando, European e-commerce analyst for Forrester, says the US companies are right to think international e-commerce markets will develop in the same way as the US - but with a time lag of two or three years. "When it comes to e-commerce, there are really no fundamental differences in people's appetite online," she says.
While that may apply to the most straightforward online shopping or auction sites, this "same size fits all" approach does not apply to all aspects of e-commerce. Danny Rimer, a Silicon Valley venture capitalist who has moved to London to back European internet start-ups, says that expansionist US companies have often misjudged the European market.
"Rumsfeld economics doesn't work here," he says. "You can't use overwhelming firepower with a limited number of troops on the ground and no understanding of the locals or the culture and then expect you're going to win and be the market leader."
Mr Rimer's Index Ventures has backed original European internet ventures such as Betfair, the online betting exchange, and Voice over internet protocol (VoIP) service Skype, both of which have turned heads back in Silicon Valley.
It has also invested in Video Island, one of numerous online DVD rental companies that have appeared in the UK, copying Netflix of the US.
"With Video Island, we have tweaked the Netflix model so it is much more effective in a European context. We are leveraging European brands such as Tesco and Comet rather than using our own brand," Mr Rimer says.
"This is what US companies face abroad: educated entrepreneurs who have adapted (US ideas) to the local market in a more resourceful manner and with better-suited local partners."
There is also a question whether new e-commerce markets will continue to develop as they have in the past. The online auction business, for instance, has all the hallmarks of a winner-takes-all market. The largest marketplace enjoys the network effects of having the highest number of buyers, which in turn attracts the largest number of sellers. eBay has ridden that logic to a dominant position in many markets, though Yahoo won out in Japan, the world's second biggest internet economy.
Mr Marcom at Yahoo warns, though: "Just because it has evolved into a winner-takes-all market in developed countries doesn't mean it will in developing countries as well." China, where eBay and Yahoo are battling against local newcomers, could be a case in point.
Given the size of the country and its under-developed infrastructure, China could see a series of regional auction and other e-commerce markets coexist, says Mr Marcom. The US e-commerce companies have yet to show how adaptable their businesses can be.
Another danger is that the companies themselves will make mistakes. There is no guarantee that the US companies' management will have the focus and discipline to follow through on their business plans.
Even eBay, which generally has a successful record in exporting well- honed operating plans, is not infallible. Its withdrawal from Japan, having failed to make inroads against Yahoo Japan, is a case in point. "We weren't as disciplined as we are now in rolling out our marketplace" in other countries, says Mr Dobb of eBay. He says eBay will re-enter Japan and will not make the mistake of "cutting and running" from a key market again.
The lure of fast-growing international markets and slowing growth at home may add to the risk of ill-judged expansion. The number of internet users in non-US markets is likely to grow by about 13 per cent a year over the next five years, twice the rate of US growth, according to Mr Semel of Yahoo.
"There is no question that, as US companies mature in their own market, they have to look for growth outside the US and one of the quickest and easiest markets to enter is Europe," says Mr Rimer. The pursuit of the seemingly quick and easy European expansion, though, has been the undoing of many US companies in the past.
Films, music, television, video games - the multimedia riches of the entertainment industry are all coming to the newer medium of broadband and testing the relationships between content developers and internet service providers.
Yahoo has been trying to persuade ISPs to separate their access and portal functions, and outsource the latter to Yahoo, arguing that ISPs need to subcontract more of the work and concentrate on what they are good at. Only BT in the UK and SBC in the US have bitten so far, but Terry Semel, Yahoo chairman, says: "We intend to do more."
"A lot of these companies are running 1999-style business models, with flashy content and shopping mall-type things," says John Marcom, head of Yahoo's international operations. What they really need, says Yahoo, are really good services in areas such as search, music videos and e-mail and instant messaging - the two most-used internet activities - all things that Yahoo thinks it can provide better than the ISPs.
The Yahoo argument may sway some big telecommunications companies that are not focusing on their internet arms and smaller ISPs that lack the resources to develop their own premium services. But established operators - challenging the likes of Yahoo and MSN - have already developed more sophisticated strategies for broadband that go beyond the advertising-dependent portal model.
Richard Ayers, UK portal director for Tiscali, the pan-European ISP, says: "Portals have mutated into having a much wider scope of relationship with the customer. Our strategy is that we have to provide things to do, not things to read. People want games to play, applications to use, messenger and community services - and the portal is at the hub of that online relationship."
Broadband is taking the relationship to another level. Video-on-demand, music download services and online gaming are a few of the premium services being developed. Screen Digest, a media research firm, predicts that European online entertainment spending will increase from Euros 24m (Pounds 16m, Dollars 29m) in 2003 to more than Euros 1.8bn in 2007.
The promise of a huge leap in revenues is setting the stage for a battle royal. Guy Bisson, Screen Digest's television and broadband analyst, says: "The key is finding a business model. At the moment, the parallels are with the cable and satellite industries where cable is basically a distribution platform that buys in content and satellite is both a distributor and a content creator."
Paul Lee of Deloitte Research believes there is another way to generate revenue separate from content and access: "When you buy a car, a lot of the high-margin stuff comes with the accessories. With internet access, it's the accessories - the add-ons such as anti-virus and spam-protection software - that are generating the high margins for ISPs."
The industry is still in an experimental stage, says one leading ISP financial analyst, with services such as music downloads and digital photo-processing showing promise, while others try and fail to gain traction. "(Germany's) T-Online has tried a service to make you quit smoking and an online diet management application, neither of which was that successful," he says.
Roger Lynch, chief executive of Video Networks of the UK, a 12-year-old video-on-demand company that has just been relaunched with a pay-TV package and a broadband internet access offering, says: "Prices and margins are coming down for access, so the focus is going to be increasingly on competing on the range of services offered over broadband."
In questo giorno di elezioni...
...devo constatare che la comunicazione politica italiana è ad un livello inferiore sia rispetto a quella estera, sia rispetto alla comunicazione in generale. Detto in altri termini: abbassa la media.
Intendiamoci, si sa che la comunicazione politica è una specie a sé, ma di mezzo c'è sempre un target (più d'uno in verità) che fa capo a delle esigenze, anche molto spicciole.
Facciamo un esempio: l'election day comporta che l'elettore sia chiamato a votare per diverse elezioni (amministrative, locali, per il sindaco, europee), nello stesso momento. La confusione sui simboli quindi può essere tanta.
Non ho visto alcun partito che, sul web, avesse chiarito con quale simbolo si presenta alle elezioni europee, e mi riferisco in particolare a quei partiti piccoli, che non hanno potuto fare grandi campagne di affissione.
Per di più, come è successo in Campania, una lista di centro destra si è presentata con il nome di Verdi-Verdi, giusto per confondere le idee all'elettore...e magari sottrarre qualche voto all'avversario.
Per il resto...quale grande comunicazione politica si è potuta vedere?
Vogliamo parlare dei comizi (illegali) fuori dai seggi?
Vogliamo parlare del tono di alcuni manifesti visti in seguito alla liberazione degli ostaggi italiani in Iraq?
Penso che la comunicazione oggi sia lo specchio del livello culturale di un paese...e l'Italia sarà pure stata una culla della cultura...ma appunto, nel passato.
Anche sul fronte politico-istituzionale, in questi giorni ho capito che c'è poca sensibilità verso le esigenze dell'elettore, e se permettete, che c'è anche poca intelligenza di tipo "strategico".
Mi riferisco al messaggio SMS di invito al voto: un inutile e pleonastico avviso rispetto ad un fatto che tutti sapevano già sarebbe accaduto in questo week-end.
Si può quindi facilmente smascherare il vero significato di questo messaggio SMS agli elettori. E' un modo per il governo di poter dire che le istituzioni comunicano ai cittadini per mezzo delle tecnologie, salvo il fatto che di queste tecnologie ne è stato fatto un cattivo uso.
Ma un uso intelligente sarebbe stato possibile.
In questi giorni è emerso che un numero significativo di elettori non ricordavano più che quando si vota bisogna usare la tessera elettorale personale (quella con i "bollini", tipo raccolta punti). Questa tessera elettorale ha l'utilità di far risparmiare allo Stato del "denaro sonante", che in passato veniva speso per l'invio, ad ogni consultazione elettorale, del certificato elettorale.
Ieri è successo che molte persone, all'atto di recarsi al voto, non hanno più trovato la loro tessera elettorale: perché quindi non usare il messaggio SMS per ricordare, con qualche giorno di anticipo, di cercare la propria tessera?
Questa è quella che io chiamo mancanza di intelligenza nella comunicazione.
E potrei continuare ancora...
Buona "votata" a tutti.
Tiscali Sat taglia il P2P
Con una decisione che non mancherà di riaccendere aspre polemiche, Tiscali ha annunciato di voler contrastare l'uso anomalo di banda dei suoi utenti che utilizzano programmi P2P.
In pratica dal 15 Giugno, gli utenti dell'Adsl Tiscali Satellitare (Tiscali Sat Premium) che nel corso di un mese superano 1 Gigabyte e mezzo di traffico, si vedranno ridurre la velocità dai 400/128 Kbps a 128/24 Kbpps; gli utenti di Tiscali Sat Lan invece vedranno ridurre la velocità della loro Adsl da 500/128 Kbps dopo i tre Gigabyte di traffico trasferiti.
Secondo fonti Tiscali si tratterà comunque di un provvedimento che riguarderà una percentuale di utenti non superiore al 2% e a maggior ragione resta da capire il perchè di una decisione che sembra fatta apposta per generare polemiche sia per una modifica delle condizioni contrattuali (in senso peggiorativo) e sia per l'indiretta messa fuori legge dei sistemi P2P su piattaforma Tiscali.
Ne valeva davvero la pena?
Hard Internet Cafe'
È di questi giorni la notizia che il fondatore di EasyJet ha dichiarato di voler smantellare la catena di Internet Café aperti in tutta Europa.
Stelios non più di tre anni fa, decise di aprire degli internet café in luoghi di grande passaggio, le cosiddette high street, di tutto il mondo: Oxford Street, Tottenhan court Road a Londra, Piazza Duomo a Milano, Piazza di Spagna a Roma, La Rambla a Barcellona e così via in altre importanti città europee.
Evidentemente la struttura dei costi non ha permesso all'azienda di raggiungere il pareggio. Alti costi fissi legati sia agli immobili sia alle macchine necessarie per consentire ai clienti di navigare velocemente, non sono stati coperti dai ricavi per l'uso del collegamento e di qualche servizio accessorio, pubblicità di terzi compresa. Ricavi che comunque dipendono dallo sfruttamento delle superfici e dall'orario di apertura di questi negozi del browsing.
Dal sito della catena, nonostante l'azienda cerchi di rettificare quanto scritto sui quotidiani, la notizia è sostanzialmente confermata: non più aperture in immobili di proprietà o affitti troppo elevati, ma affitto di luoghi ad elevata calpestabilità e condivisione dei costi fissi con altre catene: McDonald's, uffici postali, supermercati.
La perdita dell'intera operazione è intanto arrivata a 150 milioni di Euro, pari a circa 15.000 giorni di navigazione non consumati. Non male, eh?
Il marketing virale di Esselunga
Dopo un anno di attesa è uscita la nuova campagna istituzionale di Esselunga, con due nuove creatività ad opera dell'agenzia Armando Testa: Lawrence D'Arabica e Bufala Bill.
Ma in questo post non vorrei parlare della campagna in sè quanto delle operazioni di marketing virale che Esselunga compie sia online che offline.
L'azienda infatti mette in atto una strategia, a mio modo di vedere molto corretta, secondo la quale è importante identificare Esselunga con quel tipo di campagna e in secondo luogo punta ad essere presente nelle case dei potenziali clienti anche con oggetti non direttamente collegati ai prodotti venduti nei supermercati.
Off-line vengono distribuiti i calendari in cui per ogni mesi si trova una delle creatività della campagna, e inoltre sono disponibili per l'acquisto nei negozi Esselunga quaderni, quadernoni, poster ed altri oggetti sempre legati a John Lemon e soci.
Ma anche on-line (il sito è stato progettato e viene gestito da IconMedialab) il marketing virale viene curato: sul sito infatti è possibile creare, scaricare e stampare calendari, segnaposto, inviti e menu caratterizzati allo stesso modo. Tra l'altro ovviamente sono tutte cose che probabilmente verranno inviate o mostrate ad altre persone, innescando così il circolo virtuoso proprio del viral marketing che funziona.
E' inoltre possibile scaricare il wallpaper di tutti i "personaggi" sia della campagna 2002 sia della precedente.
Adesso le critiche: le ultime due creatività della campagna non sono ancora disponibili online, quindi la gente che magari conosce il sito ed ha già usufruito dei gadget (come me del resto) andrà a cercarle online e non troverà il sito aggiornato. Inoltre alcune sezioni in flash (costruzione del calendario) hanno dei problemi di accessibilità con Mozilla e immagino con tutti i browser che non sono IE.
Comunque devo dire che sarò un maniaco dei dettagli, ma la favicon con John Lemon è proprio un colpo da maestro :)
Yoox: la moda online
Voglio parlarvi di un caso di successo nel mondo dell’e-commerce. Già, proprio così, perché scegliendo prodotti di indubbia qualità ed operando ottime scelte nella presenza web, nel marketing e nel meccanismo di vendita e assistenza la magia è possibile.
Yoox si è imposto come leader mondiale nello shopping di capi di abbigliamento moda su Internet con un fatturato che nel 2000 ammontava a 1 milione di euro ed è cresciuto fino a 22 milioni di euro nel 2003. La previsione per il 2004 è di 36 milioni di euro. Un trend di crescita di tutto rispetto.
La carta vincente di Yoox sono innanzi tutto sicuramente i suoi prodotti, capi di abbigliamento delle maggiori griffe mondiali da Armani a Ferrè a Dolce & Gabbana solo per fare alcuni nomi, i quali sono marchi fortissimi e vincenti. Ma non è affatto da trascurare la capacità che ha avuto il team di Yoox di sfruttare le potenzialità del web e permettere in primo luogo agli attori del mercato di riferimento (Case di moda, negozi e produttori ecc.) di trasferire il prodotto su un nuovo mercato e permettere loro di saggiare le potenzialità di vendita sullo stesso, raggiungendo nuovi segmenti di consumatori e testando nuovi mercati internazionali. In secondo luogo di permettere ai consumer di acquistare capi di abbigliamento di altissima qualità a prezzi vantaggiosi.
In questo caso i Venture Capital possono dirsi soddisfatti: inizialmente ci hanno creduto KIWI e Net Partners. Nell’autunno del 2003 Benchmark Capital è entrata tra gli azionisti, siglando l’unico investimento mai effettuato in una società di e-commerce italiana da un primario fondo di venture capital americano.
Parliamo del Sito web: leggero, graficamente essenziale e comprensibile, con tutte le informazioni a portata di mano e notevole girandola di promozioni. E’ possibile visualizzare i capi filtrandoli per marchio, genere, taglia ecc. La prima visualizzazione è un thumbnail che si può poi ingrandire e girare per vedere fronte e retro di ciò che si sta acquistando. Carrello, transazione sicura e spedizione a casa tramite corriere. Arriva un pacco ben confezionato ed i capi sono muniti di tutte le garanzie del caso. Mail feedback al momento della generazione ordine, mail feedback al momento della spedizione dei prodotti con rintracciamento online del pacco.
Che cosa hanno scoperto di nuovo? Proprio nulla, semplicemente applicano come si deve il meccanismo di e-commerce.
Per saperne di più ho contattato Serena Mancini, Responsabile Ufficio Stampa Yoox, che ha gentilmente risposto ad una breve intervista.
Eccola:
IMLI: Gli analisti si sforzano di elaborare dati e andamento del mercato e-commerce italiano. Può accadere che questi dati, visto l'animo principalmente statistico e di analisi generale del mercato, possano perdere di vista le singole realtà. Quali sono dal Vostro punto di vista, "in trincea", le valutazioni sulla realtà del commercio elettronico nazionale? E quali evoluzioni prevedete per il prossimo futuro?
YOOX: Si è parlato di crisi e poi di ritorno nell’e-commerce, ma questo significa presupporre che ci sia stato un trend negativo: il che è vero fino a un certo punto.
Quello di cui le indagini statistiche non riescono a tener conto è che Internet e la tecnologia stanno cambiando il mondo: né la borsa, né i media possono fermare questa rivoluzione. E solo chi ci lavora dentro non ha mai avuto dubbi in proposito, a differenza di chi invece ha sempre e solo giudicato o dato giudizi affrettati.
IMLI: YOOX è presente anche nel mercato Europeo ed in quello USA...In cosa principalmente si differenziano le Vostre strategie di marketing nelle varie realtà?
YOOX: YOOX è presente nel mercato europeo, negli Stati Uniti e dalla seconda metà del 2004 lanceremo le attività anche in Giappone. Una presenza che ormai raggiunge tre continenti.
Nonostante questo, non ci piace parlare di strategie di marketing: YOOX più che ‘studiare’ i consumatori, cerca di costruire un dialogo, una relazione con i suoi clienti.
Questo è il motivo per cui esistono cinque versioni del sito [inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco] che non sono la semplice traduzione dei contenuti del sito italiano, ma vere e proprie localizzazioni: oltre al contenuto in lingua, infatti, esistono iniziative legate alle singole realtà. [per esempio la festa del papà che da noi è festeggiata il 19 marzo, in Germania la festeggiano a maggio]. Di conseguenza anche le comunicazioni periodiche tramite newsletter spesso sono differenziate.
Allo stesso modo, i prezzi variano da nazione a nazione, perché si adeguano alla prezzo al dettaglio praticato dal brand nei diversi mercati.
IMLI: Quali iniziative ha messo in atto YOOX per quanto riguarda l'Internet Marketing? Siete soddisfatti dei risultati ottenuti?
YOOX: Volendo essere schematici, le iniziative di Internet Marketing si sviluppano in tre direzioni.
Contiamo su un network consolidato di affiliati e di partner, accuratamente selezionati fra i migliori portali in Europa e negli USA. A questi, YOOX fornisce, fra le altre attività, i contenuti per le sezioni shopping. Il partner si preoccupa di fornire a YOOX le “vetrine” migliori, in cui esporre i propri prodotti, di dedicare editoriali e di inserire eventuali promozioni all’interno delle proprie newsletter.
I siti di fashion rimangono partner privilegiati perché oltre a offrirci la possibilità di diventare il loro canale shopping esclusivo, svolgono un ruolo importante nel costruire e rafforzare la brand equity sulla rete. La qualità dei prodotti offerti è considerata un vero e proprio plus valore per i siti fashion con cui lavoriamo perché vedono nella partnership con noi la possibilità di offrire un servizio ad alto valore aggiunto ai propri utenti.
I motori di ricerca poi, rappresentano un punto chiave della nostra strategia di comunicazione sul web insieme a un’ormai avviata e solida rete di affiliati.
IMLI: Nei vostri piani di marketing sono previsti per il futuro aumenti degli investimenti pubblicitari online?
YOOX: Ovviamente sì, nel senso che un aumento degli investimenti in pubblicità online è in qualche modo connaturato con la crescita.
IMLI: Nel Vostro sito proponete un programma di affiliazione. Come procede l'iniziativa?
YOOX: In realtà non abbiamo un solo programma di affiliazione. Finora infatti abbiamo, due programmi attivi in Italia [Tradedoubler + Zanox], 2 in Germania [Tradedoubler + Affinilinet], uno in Francia [Tradedoubler], uno in UK [Tradedobler]. Siamo soddisfati dei risultati e questo è il motivo per cui cerchiamo di venire incontro alle esigenze dei nostri affiliati, rendendo disponibili più programmi: abbiamo anche una sezione informativa sul sito interamente dedicata alle affiliazioni.
IMLI: Mensilmente il 70% degli ordini effettuato su YOOX proviene da utenti che hanno già fatto acquisti in precedenza. Come ritenete di aver ottenuto questa altissima fidelity dai Vostri clienti?
YOOX: Come dicevo prima, l’obiettivo principale di YOOX è quello di costruire una relazione con i clienti e di garantire la migliore esperienza di shopping online.
La maggior parte delle innovazioni tecnologiche e grafiche introdotte sul sito sono progettate proprio con questa finalità, pur non essendo costruite sulla base di astratti piani di marketing che riducono i consumatori a un numero aggregato.
Per YOOX invece i clienti sono persone: il nostro customer care, raggiungibile attraverso email o telefono [numero verde], non solo segue il cliente in qualsiasi momento durante l’acquisto, ma inoltra il feedback registrato all’interno di YOOX per consentire costanti miglioramenti nel servizio al cliente al finale. L’alta retention dimostra che chi acquista su YOOX una volta, torna a comprare, e dimostra che la qualità del servizio al cliente è un investimento che si ripaga da solo.
Pregi e difetti del Social Networking.
In qualche mese di sperimentazione con alcune piattaforme di Social Networking (Linked In, Ecademy, Ryze), posso iniziare a fare qualche riflessione su questo strumento, in particolare per lo sviluppo di contatti professionali.
La piattaforma che più si distingue dalle altre è sicuramente Linked In, che con la sua traduzione pratica della teoria dei sei gradi di separazione, guadagna rispetto agli altri in termini di immagine e di reputazione. Personalmente ho scelto questa piattaforma come la più utile, ma su base empirica (ovvero in base ai contatti utili che ho potuto generare), e quindi la maggior parte delle mie riflessioni sarà relativa a Linked In.
E' naturale che una piattaforma di Social Networking può avere successo solo con una base significativa di utenti intensivi (power users).
Ma cos'è un power user? In questo contesto può essere definito come una persona che è predisposta alla gestione dei propri contatti professionali in Rete, in grado in un certo senso di incentivare (se non obbligare) i suoi contatti professionali a gestire i propri contatti professionali tramite una piattaforma di Social Networking.
Queste piattaforme dovrebbero prima di tutto fornire all'utente ampie features per l'organizzazione della propria rubrica di contatti, permettendo l'integrazione con i più diffusi strumenti di comunicazione elettronica (Outlook in primis). Questo è il primo aspetto critico, perché Linked In è l'unico che ha dato segnali di aver capito questo fatto, fornendo ai suoi utenti la possibilità di acquisire i contatti esportando un file .csv da Outlook. E' già qualcosa, ma niente di simile a quanto sarebbe ideale, cioè l'aggiornamento automatico della rubrica memorizzata in Outlook lato client (sul proprio pc), con la rubrica memorizzata in remoto (lato server) in Linked In.
Perché questa mia fissazione per la rubrica?
Diciamo che se Linked In e le altre piattaforme di Social Networking vogliono sperare di avere successo, devono eliminare gli ostacoli all'adozione dei propri strumenti; se io avessi la possibilità di mantenere automaticamente aggiornata la mia rubrica, sarei incentivato all'uso della piattaforma come strumento principale per la memorizzazione e l'organizzazione dei miei contatti professionali, e di conseguenza sarei incentivato ad invitare i contatti della mia rubrica non iscritti ad iscriversi a Linked In, per beneficiare dello strumento e della possibilità di instaurare un rapporto più stretto.
Bisogna, detto in altri termini, fare in modo che non solo gli utenti possano trovare contatti professionali utilizzando le funzioni di ricerca (peraltro ampiamente migliorabili) di Linked In, ma che prima di tutto gli utenti importino il loro network di contatti professionali all'interno della piattaforma.
In mancanza di questo le piattaforme di Social Networking rimangono degli (comunque utili) strumenti di ricerca di professionisti (una sorta di Who's Who leggermente potenziato), e questo è confermato dalla grande quantità di utenti che dispongono di poche connessioni (uno o due contatti). Significa che per essi non è un fatto spontaneo gestire la propria socialità professionale con queste piattaforme, e che se non vengono incentivati a farlo, anche con semplici miglioramenti come quelli che ho descritto, sarà il fallimento degli obiettivi che queste attività si sono poste.
Ci sarebbe da aprire un altro capitolo sulla sostenibilità economica di queste iniziative; per ora mi limito a dire che l'unica possibilità è quella di introdurre un canone per la fruizione di tutto il servizio, oppure di una versione del servizio con l'aggiunta di significative funzionalità avanzate. Ma per convincere gli utenti a pagare, bisogna prima di tutto fargli capire a cosa può servire veramente il Social Networking, altrimenti il rischio è un flop clamoroso e la decimazione degli utenti registrati.
Per chi è interessato, il mio profilo su Linked In è qui.
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