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Il marketing della conoscenza
Alcuni anni fa, quando ho iniziato ad occuparmi di comunicazione interattiva, mi sono imbattuto in un articolo di un consulente che denunciava il fatto di avere speso più di quarant'anni per sviluppare quella conoscenza in grado di renderlo competitivo sul mercato e che ora a causa di internet, questa conoscenza era a disposizione di tutti. Non voglio certamente mettermi qui a disquisire sulla differenza tra informazione, dati, conoscenza, sapere, competenza, abilità, potrei anche restarne ingarbugliato. Quello che mi preme invece dire è che la condivisione delle proprie conoscenze sicuramente non può che fare bene al mercato e si ripercuote sempre positivamente sull'immagine di un consulente il cui business vive e si alimenta di "conoscenza". Prendete Tom Peters, uno dei più affermati consulenti di management a livello internazionale. Troverete sul suo sito tutte le slides delle conferenze in cui è relatore. Questa pubblicazione non ha certamente mai avuto effetti negativi sul suo business di conferenziere e di autore di successo i cui libri continuano a vendersi bene, nonostante che gli stessi contenuti siano resi disponibili in rete. E' evidente che quello che un consulente mette a disposizione è solo un'idea, un modello, una riflessione oppure una serie di case histories. E' vero che tutte queste idee vengono molto spesse "prese in prestito" anche senza alcuna citazione dell'autore, ma questo fa parte della vita. Quando un consulente rende pubblico del materiale, ciò significa che lui sta già lavorando a nuovi modelli e nuove case histories. Il mondo anglosassone è più aperto, non è vero che in Italia non ci sia cultura della tecnologia, del management e del marketing, solo che molti credono (erroneamente) che condividere le idee alimenti solo il plagio. Tutte le volte che lavoro ad un progetto innovativo, non mi viene mai chiesto, quanto io realmente sappia di un determinato argomento, mi si chiede invece di trovare una soluzione creativa ad un problema. Ogni volta si riparte da zero, anche se con l'esperienza dei progetti passati. Recentemente una nota azienda che organizza convegni, ha pubblicizzato una nuova edizione di una conferenza che avevo progettato e che aveva riscosso grande successo. Per risparmiare sui costi, questa società ha deciso di non coinvolgermi più. Alcune persone riconoscendo l'approccio al programma, mi hanno telefonato e chiesto come mai replicassi, sapendo bene che ogni mio progetto è solitamente irrepetibile. Sono stato molto felice di apprendere che avevo creato uno stile riconoscibile e che il tentativo di imitazione era stato riconosciuto come tale. Non bisogna avere paura di condividere il proprio sapere, l'unica salvaguardia è la capacità di crearsi un proprio stile, che forse non piacerà a tutti, ma che sicuramente ci renderà differenti. Pubblicità online? Un dollaro a pixel!
Chi l'ha detto che la pubblicità online non ha valore? Ecco la pagina da un milione di dollari; gli spazi sono in vendita (a blocchi da 100 pixel) ogni giorno, 24 ore su 24 ad un prezzo tutto sommato contenuto. L'idea è di Alex Tew, studente di 21 anni inglese, che per far fronte al costo dei corsi in Business Management, ha pensato bene di creare questa pagina online con l'obiettivo, appunto, di raccogliere un milione di dollari. E le cose stanno andando piuttosto bene se pensate che in pochi giorni il ragazzo ha già raccolto 205,100$; ecco un caso eclatante di pubblicità online che funziona sia per l'editore (che con un milione di dollari potrà stampare la sua tesi di laurea su foglie bagnate nell'oro) e gli inserzionisti che, nei prossimi giorni, credo godranno di grande visibilità. Se stai pensando di comprare anche tu un piccolo spazio ... affrettati; la coda per la messa online supera già le 48 ore!! Genialata, non c'è che dire. Quota 500, auguri!
500 post in poco più di un anno e mezzo, 2.210 commenti, più di 100.000 visite al mese; IMlog sta crescendo bene grazie ai nostri autori e a te che stai leggendo questo post. Quota 500 è un bel traguardo, ma anche un punto di partenza per lanciare BitTorrent goes public?
Via Massimo leggo che BitTorrent ha raccolto $8.75 milioni da un venture capital. Nella notizia/comunicato apprendo che hanno intenzione di sviluppare il protocollo, rendendolo un canale di distribuzione per contenuti multimediali e in grado di sostenere il proprio business anche con la pubblicità. Chi mi spiega come sia possibile tutto questo? Un prodotto per la condivisione libera di file utilizzato per distribuire contenuti protetti da copyright: un deja vu? P.s.: per i pochi che ancora non lo conoscessero BitTorrent è un protocollo di comunicazione che consente di condividere file, una evoluzione del buon vecchio Napster. Stanno nascendo vari software in grado di utilizzare questo protocollo, tra cui segnalo Azureus. Per chi volesse scoprire che cosa si nasconde sull'isola di Lost, oggi dovrebbe essere disponibile il secondo episodio della seconda serie ;) Blog e processo di acquisto
Il blog come strumento strategico per le imprese è al centro del dibattito. Si è infatti scritto e discusso molto sul corporate blogging , sulle strategie di business blogging, sulle sue opportunità e sulle metriche di valutazione. Sul sito della BBC, si riporta di una survey in cui viene mostrata l'efficacia del blog nell'influenzare il processo di acquisto. La ricerca citata dalla BBC si riferisce al mercato inglese, sicuramente più evoluto del nostro. Oltre 3/4 degli intervistati ha rivelato di aver consultato un blog prima di un acquisto. I blog sarebbero preferiti per la loro "imparzialità" e perché scritti da persone reali e non da redazioni. Altri dati li trovate sull'articolo menzionato. Occorre dire che non amo leggere dati riportati di survey se non riesco a comprendere i criteri e le metodologie con cui una determinata ricerca è stata fatta e naturalmente sapere chi ha organizzato e soprattutto commissionato la ricerca stessa. Segnalo lo stesso l'articolo di BBC che mette in luce le potenzialità del blog nella formazione delle preferenze d'acquisto. Io stesso sono un frequentatore di blog come Gizmodo ed Engadget, giusto per citarne due che stimo e che sicuramente tengo in considerazione prima di acquistare un prodotto elettronico. Idee forse banali, eppure...
Se Google ha dalla sua, nelle sue varie declinazioni (froogle, maps, e quant'altro), l'integrabilità con altre fonti di informazioni grazie alle API (io ad esempio sto diventando pazzo per applicazioni come quelle che localizzano gli annunci Ebay Motors su Google Maps; vedi qui), altri motori di ricerca cercano di fare "il proprio", riuscendo talvolta in maniera egregia. Un motore di ricerca, Clusty, pressoche sconosciuto dalle nostre parti, offre alcune interessanti funzionalità; tra queste la più comoda è sicuramente il raggruppamento dei risultati in cluster, secondo un criterio di affinità (desunta dall'analisi delle parole ripetute nel testo, suppongo). Così avviene che ricercando un argomento, ad esempio "Sigmund Freud" (non chiedetemi perchè...sono fissato con la psicanalisi), il motore visualizza tutti i risultati nella vista principale, come ogni motore di ricerca, mentre sulla colonna di sinistra presenta i cluster, categorie tra le quali in questo caso abbiamo: dreams (non poteva mancare), cigars (Freud ne era un gran "consumatore"), Psychoanalysis, ecc... p.s. se volete vedere un po' di "mash-up" (così si chiamano le integrazioni tra Google e altre fonti web tramite l'impiego delle API) di Google Maps, vi invito ad andare qui. Promuovere la cultura del digitale
Se si vuole che la transizione alla tv digitale abbia luogo nel modo più indolore possibile, è indispensabile promuovere soprattutto la cultura del digitale nel nostro Paese. I grandi gruppi editoriali sembra si stiano avvicinando nuovamente al mondo delle televisioni, la speranza è che lo facciano consapevoli che è necessario esplorare nuovi linguaggi e proporre nuovi contenuti per le tv digitali, perché la moltiplicazione degli stessi contenuti su piattaforme diverse, sicuramente non verrà accettata di buon grado dal mercato. La transizione al digitale passa anche dalla creazione di nuove professionalità. E' incredibile che il Master dell'Universita Bicocca sulla televisione digitale coordinato dal professor Cesare Massarenti, di cui sono stato docente per diversi anni, non abbia avuto per l'anno in corso i fondi da parte del Fondo Sociale Europeo. Sta partendo ora un altro master dell'Università Statale, che spero abbia migliore fortuna. Come si sa è più facile ottenere finanziamenti per la ferraglia (leggi set top box) che per la formazione e per i contenuti. Speriamo che le cose cambino presto. www.italia.it
Leggo su Vanity Fair (ormai uno dei miei settimanali preferiti) che l'Italia non ha un portale (!) per il turismo, ce l'hanno tutti e noi? Persino la Mongolia ha il suo portalone turistico! Il ministro Stanca ha così deciso giustamente di svilupparne uno nuovo di zecca, in fondo pensandoci bene siamo tra i primi 5 paesi al mondo per flusso turistico in entrata. Il costo dell'iniziativa mi ha sorpreso come ha sorpreso il giornalista: "sono stati stanziati 20 milioni di euro per creare, gestire e promuovere il sito, gli altri 25 da spendere in iniziative e sviluppi successivi." Certo la pubblicità per promuovere l'iniziativa negli altri paesi costa parecchio ma 45 milioni di euro non sono tanti? Se state pensando di partecipare alla gara purtroppo siete in ritardo, è stata già vinta da IBM (ma Stanca non viene da lì?), ITS e Tiscover. DVR in Italia: oggi, non domani
A fine agosto avevo scritto a proposito del DVR prospettando una sua diffusione anche in Europa. Ho previsto che in Italia, sarebbe stato introdotto da Sky Italia . Le mie previsioni si sono rivelate esatte. Un po' in sordina, senza clamori, Sky Italia lancia mySky, un servizio di timeshifting, proponendo un device da 160 Gb di hard disk pari a 60 ore di registrazione, audio Dolby Digital, Uscita analogica S-Video e Uscita Audio Digitale. Il payoff è "Suona il telefono? Metti in pausa, il film ti aspetta. Non si fa menzione della possibilità di shiftare gli spot pubblicitari, Sky sembra non voglia irritare il mondo della pubblicità. Non si capisce ancora se sia possibile anche l'avanzamento veloce. Il sito specifico per il servizio www.myskytv.it, nel momento in cui scrivo, non è ancora attivo. Non è possibile alcun giudizio, prima di avere provato mySky, ma possiamo dire che i cambiamenti nell'arena televisiva avverranno sicuramente più velocemente di quanto possiamo immaginare. La dura concorrenza lo impone. Se il mondo della pubblicità si ostina a sottovalutare la portata dei cambiamenti in atto ne soffrirà le conseguenze nei prossimi anni. Siete avvertite agenzie la comunicazione sta cambiando radicalmente. Google tv
Per chi pensa ancora che Google è un motore di ricerca: Corporate blog in Italia
Come dice Max nel suo commento al post precedente i "corporate blog scettici" non sono affatto in via d'estinzione. Ma sono felice di constatare che i "corporate blog convinti" (tra cui il sottoscritto) sono in aumento, anche in Italia. Europ Assistance ha deciso di inaugurare un corporate blog dal tono molto informale, in cui vari dipendenti (o uno che cambia nome, ma è la stessa cosa) postano storie o episodi in cui viene dato risalto agli aspetti più in linea con il business dell'azienda. Molto migliore da tutti i punti di vista è quello di Infojobs: implementato a dovere, con il "giuto" URL, completamente integrato nel sito istituzionale, con RSS e tutto il resto. E' il complemento ideale per un sito di recruiting, con consigli per compilare il CV, su come scrivere una buona lettera di presentazione ecc. (sull'esempio di quello di Monster). Tutto perfetto? Veramente no, anzi. C'è un solo difetto, ma a mio modo di vedere il più grave per un blog: non permette i commenti! Sarà un caso però che si tratti di due aziende straniere con sedi in Italia e non di aziende propriamente italiane? Il Jackal Marketing su Katrina
Alcuni si sono scandalizzati per un personaggio bizzarro che pare voglia vendere una bibita chiamata 'Katrina', con la seguente tagline: "Get Blown Away". . Blog ROI: come capire se un blog può aiutarvi a fare business
Negli ultimi mesi responsabili marketing e consulenti si interrogano su come i blog possono generare ritorni in termini di business. Ma ha senso parlare di blog ROI? Come capire se un blog può essere d’aiuto? Come spesso accade quando si parla di marketing, si genera una gran confusione sugli obiettivi e sulla reale portata delle proprie attività, si è spinti a “mitizzare” uno strumento o una tattica ritenuta di moda, per poi decretarne il “precoce insuccesso” a qualche mese di distanza. Perciò capiamoci prima su cosa i blog non sono: I blog sono semplicemente uno “strumento di marketing”, per alcuni aspetti nuovo, per altri un po’ meno. Sono un’ulteriore tattica a vostra disposizione. Di seguito trovate una checklist da seguire per non cadere in errore e capire quando e come un blog può aiutarvi a fare business: 1. Quali sono vantaggi e svantaggi per voi? Dovete cercare di essere realistici. Non è obbligatorio aprire un blog! Giorni fa mi è stato chiesto: Ci ho pensato un po’ poi ho risposto: Al di là della tecnologia, dei termini tecnici e delle mode, il punto è proprio questo, un blog per un’azienda significa dar voce alle proprie persone. 2. Qual è il target? Quali sono gli obiettivi? Un blog è sicuramente da considerare una tattica a lungo termine, non è uno strumento di “prospect generation” a breve o una “selling machine”.
Prima di iniziare è fondamentale capire su quali contenuti concentrare il blog, sui prodotti? …sulle tecniche di utilizzo?... sulle esigenze che risolvono?...ci sono moltissime possibilità, dovete scegliere quella più adatta ai vostri obiettivi, alla strategia che avete pensato. Ricordate sempre che i post efficaci non sono quelli che attirano il maggior numero di persone possibili, ma quelli che coinvolgono veramente il vostro target stimolandolo a parlare di voi e con voi.
Per concludere dovete pensare ad una metrica con cui misurare i risultati dei vostri sforzi. L’obiettivo di tutte le imprese è il profitto. Come capire l’influenza di un blog sul profitto? Dovete per prima cosa identificare le fasi del percorso che porta i vostri clienti ad acquistare da voi, il blog influenza una o più di queste fasi. Pensate a questo percorso come ad un imbuto (“funnel”) a più strati, il blog e le altre attività di marketing si occupano di far passare un potenziale cliente da uno strato al successivo, è così che contribuiscono all’obiettivo finale: la vendita. La metodologia che ne deriva viene spesso identificata come “Sale Funnel”. Il concetto di base è molto semplice: in ingresso al “funnel” c’è il mercato potenziale, in uscita le vendite concluse, in mezzo il duro lavoro del marketing e delle vendite! La lunga strada dell'interattività in televisione
Non capisco l'ostinazione con cui il mondo della televisione italiana, capitanato dalla Fondazione Ugo Bordoni, segua con tanta determinazione la strada dell'interattività nel processo di transizione al digitale terrestre. In altri Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti, si ritiene che la direzione per la transizione al digitale, sia invece quella di una televisione esperienziale, fruita su grandi schermi al plasma o a cristalli liquidi e produzioni ad alto impatto, sto parlando della televisione ad alta definizione. Sia chiaro, anche in Italia, ci sono gruppi di lavoro che da tempo stanno lavorando sull'alta definizione, ma la mia personale impressione è che questa non sia una strada prioritaria. Ci si domanda se l'interattività oggi proposta sul digitale terrestre per votare, giocare, acquistare o fruire di servizi di T-government possa essere una ragione valida per chiedere ai consumatori di sostituire i loro televisori, con nuovi apparecchi o di dotarsi di set top box. Da tempo rifletto se sia saggio insistere su un driver, quello dell'interattività, che sul digitale terrestre sarà sicuramente più limitata rispetto a quella fruibile sul satellitare e sul broadband. In secondo luogo, l'interattività che viene proposta oggi è di tipo additivo su contenuti che sono stati concepiti per essere trasmessi in modo lineare. In tale modo l'esperienza di fruizione non è mai ottimale. Prendiamo il caso della pubblicità interattiva. Il presupposto su cui si basa, parte dall'assunto che l'interattività non debba mai deviare l'attenzione dal flusso lineare, per non provocare un conflitto di attenzione, tra la componente lineare del contenuto televisivo e quella interattiva. i diversi formati pubblicitari esistenti, proprio per evitare questo conflitto di attenzione vengono progettati secondo due scuole di pensiero: 1) la prima è definita, la scuola dell'impulse response. Si cerca di limitare l'interazione in uno spot entro i 30" (la sua durata tipica), in modo da non creare conflitti con gli spot successivi o con la programmazione che segue. Sono pubblicità in cui viene chiesto di fare azioni molto brevi e la cui efficacia di brand è pertanto limitata. 2) la seconda strada è quella che porta avanti l'Italia, è quella dello splitscreen. Il contenuto televisivo lineare e quello interattivo coesistono. Quando viene attivata la modalità interattiva, si continua a vedere il contenuto lineare su un quarto di schermo, con ovvi problemi di dissipazione dell'attenzione. Ci troviamo quindi di fronte, ad una proposizione di valore debole, se l'asse portante della tv digitale terrestre è solo l'interattività. I problemi infatti sono diversi: i contenuti che non sono pensati specificamente per il digitale, ma riadattamenti di quelli già fruibili sui canali analogici (quelli originali sono pochi). Sarebbe stato a mio parere forse più utile considerare la transizione al digitale in modo più ampio prendendo in considerazione ad esempio il ruolo del servizio pubblico, in modo esteso e su tutte le piattaforme di distribuzione. E' vero che il broadband in nessun caso potrà mai avere i livelli di penetrazione del digitale terrestre, ma su quella piattaforma le reali possibilità legate all'interattività sono molto maggiori. L'anello debole della catena è a mio giudizio legato all'assenza di reali incentivi per stimolare il mercato alla creazione di contenuti specifici e di servizi in grado di motivare gli utenti a compiere il gran salto tecnologico. Credo che questa eccessiva enfasi sull'interattività non faccia buon gioco alla facilitazione alla transizione al digitale, che ritengo una grandissima opportunità per il nostro Paese. News 20/09/2005 - Bloglines style
- Software per "bloccare" Skype: un regalo per Telecom Italia? (via Luca de Biase) 2006: politica e web si incontrano?
Merita una segnalazione il vademecum rilasciato da Marco Montemagno per chi fa politica in vista delle Elezioni 2006 dal titolo "Elezioni politiche 2006 e Internet". Il documento è rilasciato sotto licenza Creative Commons e si pone come obiettivo, per usare le parole dell'autore, "di mettere a disposizione della classe politica e dei colleghi che si occupano di campagne online, alcune idee e linee guida implementabili all'interno delle proprie iniziative". Dopo il successo della candidatura alle primarie dell'Unione di Ivan Scalfarotto (maturato su web nel silenzio dei mass-media) la sensazione è che Internet, volenti o nolenti, giocherà un importante ruolo (informativo, di approfondimento, etc) del quale non si potrà non tener conto anche nel nostro paese proprio a partire dalle prossime elezioni. Microsoft comprerà AOL, a meno che Google non la preceda...
E' di qualche giorno fa la notizia di un interesse di Microsoft nel 'web side' di Time Warner. A quanto pare, il deal dovrebbe farsi entro un paio di mesi. Si tratta di una notizia molto importante; Microsoft, che potrebbe comprarsi Google tante e tante volte (se G vendesse) ha deciso di applicare una strategia aggressiva sul mercato Internet, in una fase in cui TW ha capito che il web non è proprio il suo mestiere. Ricordo che AOL conta 45 milioni di utenti unici al mese, che è il più grande provider U.s.a e che conta 700 milioni di ricerche al mese nel suo search engine. Con questa mossa, Msn rimarrà sempre il terzo motore di ricerca dopo Google e Yahoo, ma potrà contare su milioni di indirizzi e-mail, di AIM (l'instant messenger di AOL) di toolbar etc e sarà un po' meno underdog. Ho aspettato qualche giorno per parlare di questa notizia perché volevo vedere la reazione di Google che - stranamente - c'è stata. A quanto pare, Google non vuole perdere l'11% delle revenues che attualmente ottiene dall''affitto' degli spazi di AOL. To blog or not to blog ?
Segnalo la possibilità di scaricare un white paper di The Content Factor, dedicato al come e al perchè dedicare risorse al corporate blogging. Mi sembra valga davvero la pena di dargli un'occhiata. Credo sia interessante riassumere qui i 10 consigli base: 1. Read Before You Write. La pubblicità che non esiste di Sun
Non sapremo mai se Sun ha pensato questa creatività con il preciso scopo di farsele censurare, oppure sia stato tutto casuale. Fatto è che stanno avendo molto più risalto gli annunci non pubblicati, rispetto a quelli effettivamente usciti sulla stampa.
Google inaugura il motore di ricerca per i Blog
La scritta "Beta" di fianco al logo di Google è ormai davvero familiare... la mission potrebbe essere: "Google, tutto il resto è Google beta". La notizia vera: nasce Google Blog (diventerà Bloogle? Chi lo sa...) motore di ricerca che permette con la stessa struttura e meccanismo del papà di effettuare ricerche all'interno dell'universo dei Blog. Anche se esistono già motori specializzati in materia, Google arriva comunque per primo rispetto ai suoi diretti concorrenti. Potrebbe prospettarsi un'integrazione futura nel motore principale, magari con una differenza di visualizzazione nei risultati.
Post e nuvole
Forse qualcuno avrà notato che nella colonna di destra abbiamo aggiunto un nuovo strumento che mette in evidenza le parole chiave (tag) utilizzate negli interventi pubblicati dagli autori di IMlog. Cliccando su ciascun tag avrete un elenco di post attinenti la singola parola chiave. Il servizio è fornito da TagCloud (via Maestrini) e consente di realizzare le proprie nuvole di tag partendo dai propri feed RSS, ossia i file che riassumono i contenuti di un sito e che trovate anche su IMlog, qui. Trovo la metafora delle nuvole geniale, così come il logo in flash che appare nel sito di TagCloud. Skypebay: ora e' ufficiale!
E' una notizia apparsa ovunque ma non si puo' fare a meno di darla anche su IMlog e di parlarne un po': eBay ha acquisito Skype! Qui la notizia su eBay, qui sul sito istituzionale Skype e qui il messaggio dei fondatori sul blog. La modica cifra e' complessivamente di 4,1 miliardi di dollari. L'integrazione tra eBay, PayPal e Skype fa davvero paura e mai come ora appare chiaro che i due unici protagonisti del web in questo momento siano Google e eBay, con Yahoo! e M$ a rincorrere affannosamente, o peggio a stare a guardare. Scommettiamo che tra poco Froogle non sara' piu' in beta? Buchenwald oder Galbusera?
Non sono un buonista, forse non sono nemmeno un buono e certamente non sono un sionista, ma devo dire che - come 'uomo qualunque' sono rimasto scandalizzato da una pubblicità che da mesi gira su carta e radio (tv non so perché scanalo molto). La pubblicità in questione è quella di Galbusera. Ricordo con affetto, quando ero un implume ragazzino, la 'G di Galbusera' e l'omino arlecchinesco. Era una buona pubblicità sicuramente (visto che ancora oggi me la ricordo vivamente). Oggi però il payoff è un altro: "A ciascuno il suo". Dico questo perché questa frase, pur trovando la sua origine nel latino e nel greco antico, pur avendo traduzioni in ogni lingua (to each his own, a cadaum o seu,) etc, pur essendo stata usata da Locke, da Hume e da Kant e da tantissimi altri pensatori, ha purtroppo raggiunto la sua fama internazionale e - soprattutto - storica, nella lingua tedesca, negli anni '30, in un campo di concentramento che si chiamava Buchenwald. Ci sono frasi che non si possono più usare o che comunque non hanno più lo stesso significato di prima, perché è troppo grande il simbolismo che le avvolge. Chi potrebbe leggere una pubblicità con scritto "il lavoro rende liberi" senza pensare ad Auschwitz? Lo stesso vale ovviamente per i marchi. La svastica è un simbolo molto più antico degli anni 20 del ventesimo secolo e con una 'positività' che oggi non esiste più. Scrivere una svastica su un muro - oggi - significa scrivere 'nazismo' (e tutto quello che c'è intorno). Lo stesso vale per certi motti/proverbi che sono stati 'fatti propri' da determinati 'gruppi' politici, movimenti o addirittura Nazioni. Le possibilità sono due: o il copy sapeva di Bunchenwald (e mi sembra il minimo) e allora è agghiacciante che abbia usato una frase del genere per un prodotto del genere. Oppure non sapeva nulla, ma pensava che fosse un motto come 'tanto va la gatta al lardo...', oppure 'scopa nuova scopa bene' o cose del genere e allora è veramente un ignorante e quindi dovrebbe cambiar mestiere (come minimo...). Nuovi dati sulla cookie deletion. E l'inganno continua...
Nielsen Netratings ha appena pubblicato i dati relativi ai nuovi studi sulla cookie deletion. Ovviamente, i siti a farne più 'le spese' sarebbero quelli più frequentati (search engine e portali), mentre ne verrebbero fuori 'meglio' siti frequentati sporadicamente (viaggi e assicurazioni). Dal momento che nel caso dei motori di ricerca il 'delta' è di circa il 50% possiamo dire che la % di deletion 'generale' è molto vicina a quella ipotizzata da Jupiter qualche mese fa. Purtroppo, i dati di Nielsen (almeno quelli pubblici) non danno un breakdown delle varie categorie di user, del sesso, dell'età, della propensione a spendere online etc e quindi ci servono poco; a me interessa maggiormente dimostrare come questa 'moria' dei cookie sia responabile non tanto di un sovrapprezzo della vendita degli spazi pubblicitari (come vorrebbe far credere Nielsen) quanto piuttosto di una sottovalutazione delle performance di chi pubblicizza programmi in pay per action che, soprattutto per quanto concerne prodotti e non servizi e prodotti di un certo valore economico, si vede 'non riconosciute' (o non si vede 'riconosciute) anche più della metà delle vendite effettivamente effettuate 'grazie a utenti che sono passati dal proprio sitio'. Ovviamente, non meno importante è la 'errata' delusione di chi compra in CPM o ppc e fa poi il calcolo di costo di acquisizione clienti. Mentre da un lato abbiamo società che hanno sistemi sempre più sofisticati per tracciare il comportamento di un utente, per seguirlo, controllarlo etc (potenzialmente), dall'altro lato abbiamo delle società (i clienti) che non sono in grado di capire quanto stia loro facendo bene la pubblicità online. Non solo, non hanno nemmeno idea di quanto internet sia positivo in termini di infocommerce (nel caso la vendita non avvenga soltanto online); un mio amico che sta investendo molto in internet (rifacimento del sito, indicizzazione etc.) mi ha detto che è estremamente deluso dei risultati del web, nonostante una crescita delle vendite dei prodotti del 96% rispetto all'anno scorso (offline). Di fatto, nell'ultimo anno il sito ha ottenuto 120.000 navigatori trageted in più rispetto a prima, ma 'nessuno' è diventato cliente. Gli ho chiesto come faceva a trarre questa conclusione, dal momento che non vende online, non usa cookie, non ha sistemi di tracking, non mette a disposizone coupon elettronici di sconto o condizioni migliorative, non fa indagini sulla propria base clienti etc etc. Mi ha risposto che capisce che internet non funziona perché nessuno gli hai mai detto 'hey, ho visto il prodotto su internet e vorrei comprarlo..". Sono rimasto abbastanza schockato da questa ingenuità (visto che parlo di una persona molto intelligente e non di un minus habens). Gli ho semplicemente fatto notare (anche se il paragone è volutamente eccessivo) che se la Nike dovesse giudicare i propri investimenti pubblicitari dal numero di coloro che entrano in un negozio e dicono "hey ho visto la pubblicità alla tele, vorrei lo stesso modello di Zidane!", probabilmente avrebbero già smesso di comprare spot da tempo. Ancora una volta, la 'misurabilità' del mezzo internet ha portato più danni che benefici per tutta l'industria. Il fatto che io 'possa' misurare (dimenticando il fatto che non abbia la minima idea di come farlo) e la richiesta di 'prove' che invece non vengono richieste per altri media, fa sì che il web sia ancora la cenerentola del mercato pubblicitario. Certo, non è l'unico motivo, ma fa molto; moltissimo. Skype colpisce ancora
Passo dopo passo, Skype sta introducendo una serie di nuovi servizi, in modo da permettere, come da mission, di mantenere le telefonate da pc a pc gratuite e senza alcuna pubblicità. Mi sembra degno di nota il comunicato che annuncia l'apertura di un marketplace per servizi vocali creando nuove opportunità di revenue. Si creeranno molto presto tante nuove aziende, anche micro, che presteranno servizi per le imprese o per i privati. Volete ad esempio una consulenza a prezzi modici dai Guru di Imlog via Skype? Non c'è problema, chiederemo a chi di dovere di attrezzarsi. :) Il numero? Che numero?
La campagna dell'892892 oltre ad essere onnipresente e di una bruttezza rara, aveva il grosso difetto di non chiarire assolutamente CHI avrebbe risposto a questo numero, ovviamente non nel senso dell'operatore ma dell'azienda che ci sta dietro. Anche sul sito la cosa non era trasparente e sinceramente ammetto di aver pensato, almeno all'inizio, che fosse un nuovo servizio di Telecom. La scelta del rosso come colore di riferimento mi fa comunque pensare che non sia un caso. Ho detto "aveva" perche' adesso hanno modificato lo spot, inserendo una frase tipo "Ti risponde Il Numero, la societa' nata per... blablabla". La pubblicita' resta orribile, ma comunque il movimento dal basso dei blog e degli utenti web ha fatto in modo che anche nelle alte sfere di una societa' straniera si accorgessero che qualcosa andava fatto. Forse mi illudo, ma la web public opinion sta acquisendo un potere significativo, che ha influenze anche offline. Google, da squalo a sushi?
Interessante la teoria "darwiniana" di Laura Ries nel contestare l'apparente strategia (per il momento di successo, per la verità) di Google di occuparsi di qualsiasi cosa, dal VOIP al WIFI, dai blog alla mail, dai sistemi operativi all'ecommerce.
Google starebbe ripetendo l'errore di Microsoft, l'ultimo grande octopus: occuparsi di tutto, dai tablet all'xbox, senza risultare profittevole in nessuna di queste attività collaterali. E alla fine l'octopus diventa sushi nelle fauci del prossimo small killer nimble fish. Yahoo collabora con la polizia cinese
Notizia fresca quella che vi propongo. Yahoo ha collaborato con la polizia cinese per l'individuazione di un 'criminale' che aveva osato pubblicare online le 'direttive' censorie del governo, in merito a quello che si può scrivere o non scrivere sui giornali. Il ragazzo si è preso 10 anni (in italia te li fai per omicidio volontario). La Cina è vicina. Visto che dopo il 9/11 il payoff del governo usa è 'zero privacy' (per parafrasare il buon Giuliani) anche in U.s.a (e nei paesi alleati) potrà accadere una cosa di questo tipo, anche se - ovviamente - per reati diversi. Nano, nano il mio iPod
E' arrivato il nuovo iPod e già tutti ne parlano in modo entusiasta. Molto più sottile, leggero del suo predecessore, l'iPod mini. Il Nano (quello che riproduce MP3 intendo) ora ha anche lo schermo a colori e la possibilità di memorizzare foto. Non così entusiasmante la prima versione di iPod integrato in un telefono. La Apple continua a sorprendermi in maniera positiva e il pensiero di avvicinarmi al lato oscuro con un MiniMac si fa sempre più insistente. L'altra metà del marketing digitale
In questo giorno di dieci anni fa, scrissi in un articolo che "il marketing digitale ha la necessità di concentrarsi su due elementi centrali: la creazione di credibilità Per credibilità intendo, la ricerca di un'identità distintiva e di una "proposta di valore" in grado di attrarre i destinatari del progetto di comunicazione on line. Detto in parole semplici, è la risposta alla domanda: per quale ragione dovrebbe un utente dedicare parte del suo tempo a prestare attenzione a contenuti o a elementi di un sistema di offerta, proposti da un'impresa o da un'organizzazione, che attraverso la rete si propongono di raggiungere degli obiettivi specifici? Per visibilità intendo invece le modalità con cui l'emittente di un progetto di comunicazione digitale riesce ad attrarre e coinvolgere i diversi pubblici a cui intende rivolgersi Se esaminate l'insieme dei servizi di quei soggetti che si propongono come consulenti di web marketing, noterete che la componente visibilità prevale. La pubblicità on line negli ultimi anni ha lavorato molto intensamente per migliorare la rilevanza, ovvero l'opportunità che il messaggio esposto sia di interesse per le persone a cui viene proposto. Le tecniche di pianificazione media e di segmentazione della domanda (in senso ampio) si sono raffinate e propongono oggi forme di pubblicità molto sofisticate sui mezzi digitali (contestuali, comportamentali, geo referenziate) Il mercato oggi offre compentenze estremamente specialistiche come gli esperti di search engine marketing, di persuasive copywriting, di media buying ecc. Esistono ovviamente grandi spazi di miglioramento che le tecnologie offriranno nei prossimi anni, per rendere la comunicazione on line ancora più precisa e più misurabile. Dove invece il marketing digitale non è progredito è sul fronte dei contenuti sia negli aspetti sostanziali sia in quelli formali. Che cosa è un brand digitale? Quale reale valore può offrire la rete alla comunicazione di un'impresa? sono domande ricorrenti, ma sui cui non si sono viste fino ad ora grandi risposte. Se la comunicazione in rete è una comunicazione attrattiva e non selettiva, quali sono i bisogni e le aspettative di chi naviga in rete? Come rendere la comunicazione più efficace, quali sono i principali cambiamenti dei linguaggi? Perché la creatività digitale stenta ad affermarsi? E' evidente che rispondere a queste domande vuol dire dare un impulso alla pubblicità on line, che spesso viene accusata di non essere efficace, quando non è efficace l'intero progetto di comunicazione on line. Ma anche il comparto della pubblicità on line ha la sua responsabilità. Perchè ci si ferma alla visibilità, perché si insiste sul awareness? Mi diceva anni fa il responsabile marketing della Nikon negli Stati Uniti, " a me non interessa l'awareness quando investo su internet, questo lo fa molto bene la televisione, da internet mi aspetto di raggiungere e di motivare quei segmenti di utenza che non riesco a raggiungere con gli altri mezzi." Essere conosciuti non vuol dire essere scelti, avere un'identità non vuol dire avere anche una personalità. Ecco perché a mio parere il marketing digitale è cresciuto, ma solo a metà. Lo dico con tutto il rispetto. Il secolo cinese
Federico Rampini è un giornalista che scrive da tempo sui quotidiani nazionali, negli scorsi anni è stato corrispondente per Repubblica da San Francisco e devo ammettere che i suoi articoli dalla Silicon Valley nella maggior parte dei casi li trovai noiosi e ripetitivi. La nuova tecnologia, il gruppo di ragazzotti che creano una nuova azienda, il nuovo software, l'idea imprenditoriale sono temi che possono attrarre l'attenzione per qualche numero di Affari e Finanza, ma scrivere sempre degli stessi argomenti può creare un senso di ripetitività che mi ha impedito di superare l'inizio della maggior parte dei suoi articoli. Con queste premesse mi sono avvicinato a "Il secolo cinese", senza aspettarmi nulla di buono, ma con la curiosità di scoprire che cosa sta succedendo dall'altra parte del pianeta. Il libro l'ho portato in un recente viaggio in Messico, dove parlando con delle persone del posto ho scoperto come il "chinos" sia un pericolo percepito anche nell'ex-serbatoio di manodopera degli USA. Come è noto il costo della manodopera è il motivo del grande successo dell'economia cinese, le multinazionali sono state costrette a trasferire la produzione per aumentare i margini e riuscendo a stare sul mercato con prezzi concorrenziali. Rampini nel frattempo si è trasferito a Pechino e da lì analizza il motivo del successo di questa enorme nazione, compiendo un'analisi storica-sociale-economica del tessuto che ha permesso lo sviluppo di un paese che, nonostante le grandi contraddizioni e le lotte di potere, sta per diventare la prima potenza mondiale. Diversi sono i temi analizzati, dalle conseguenze della rivolta degli studenti in piazza Tienanmen, all'importanza di figure come Deng o Jiang, dai centri storici che spariscono dietro l'avanzata dei grattacieli, al carbone che permette a 1,3 miliardi di persone di riscaldarsi durante il rigido inverno cinese (e a noi di respirarne le conseguenze). L'impatto dello sviluppo di questa enorme nazione sarà (in alcuni casi è già) devastante. Se ora le auto in circolazione sul territorio cinese sono solo trenta milioni, tra vent'anni potranno arrivare ad essere anche 600 milioni se il livello di penetrazione dell'auto sarà identica a quello americano. Il consumo del petrolio dei cinesi sta portando il prezzo del greggio alle stelle e la mancanza di bacini petroliferi interni porterà la ricerca di un nuovo equilibrio politico/militare nel sud-est asiatico. Il carbone è la fonte energetica del paese e le conseguenze tra i minatori e sulla natura si fanno già sentire. La ricerca di energia alternativa ha portato alla distruzione di un'area vasta quanto la distanza tra Milano e Roma dove è stata costruita la diga più grande del pianeta e dove sono state sfollate 2 milioni di persone (!). Gli spunti di riflessione continuano con analisi brevi ma efficaci, ed aiutano a capire l'impatto non solo economico della crescita cinese. Un libro da leggere secondo me per cercare di capire un paese che diventerà sempre più protagonista delle nostre vite e che è il risultato di un'attenta analisi e di una ricerca molto approfondita. Di fondo mi è rimasto questo interrogativo: la cultura cinese è stata per millenni all'avanguardia, siamo pronti ed il pianeta è pronto ad accogliere questo ritorno? La rabbia di Microsoft
Qualcuno avrà certamente letto delle dichiarazioni 'colorite' di Steve Ballmer di Microsoft. All'ennesimo collaboratore che ha deciso di lasciare MS per andare a lavorare da Google, Ballmer si è infuriato e, condendo con gli americanicissimi f***ing ha detto che avrebbe fatto a pezzi (ovviamente metaforicamente...:) il Ceo di Google. Molti sono rimasti scandalizzati dal comportamento e dalle frasi di Ballmer, ma ritengo che la sua rabbia fosse giustificata; mi stupirei se avesse reagito gandhianamente dicendo: "Hey, beh allora buona fortuna e salutami Brin e Page!". Spero sempre che la 'guerra' fra i tre grandi nella web search porti a dei vantaggi per gli utenti (non se ne vedono ultimamente), ma Ballmer non avrebbe dovuto prendersela con il 'povero' Lee, avrebbe dovuto incazzarsi amaramente con se stesso e William Gates, che - nel 1993 - dichiarò con grande secchezza: "The Internet? We are not interested in it"-- Bill Gates, 1993 Qualche anno dopo, forse si rese conto di essere stato un po' miope e disse (sorpreso): -- Bill Gates, Jul, 1998 Vale anche la pena di ricordare che quando Google era già sulla bocca di tutti Microsoft si dilungava in spiegazioni in merito ai colori utilizzati per il marchio di msn.com e che hanno cominciato a darsi da fare per mettere in piedi un motore di ricerca solo due anni fa. Chi sbaglia, a volte, paga. Questo è uno dei casi. Il grande rischio del Contextual Advertising
Ne parlava proprio lunedì scorso Massimiliano, ipotizzando il rischio di esporre un messaggio pubblicitario di un prodotto o servizio in una pagina i cui contenuti sono molto critici nei confronti dell'azienda o del prodotto o servizio pubblicizzato. Ebbene non solo il rischio è reale, ma può capitare anche molto di peggio, come riporta Mock on che ci mostra gli effetti devastanti di una pubblicità di un Hotel a New Orleans, inserita in una pagina del sito della Cnn che descrive la terribile innondazione che ha devastato la città del jazz. Mi sto convincendo che la pubblicità contestuale può essere molto efficace, ma è opportuno sia dal lato dell'offerta sia quello della domanda, che vengano prese tutte le precauzioni in modo da evitare non solo spiacevoli conseguenze per gli investitori pubblicitari, ma soprattutto di dovere poi riparare i danni di immagine per avere irritato l'opinione pubblica. Gmail. A pensare male si fa peccato...ma...
Penso che valga la pena farne un post ad hoc, per questa notizia che - mea culpa - non conoscevo, anche se è strettamente correlata a quanto diceamo due post fa. Cmq il fatto è questo: Google Gmail, come quasi tutti sanno, è 'a invito', come per Orkut e tanti altri prodotti not-google, per avere un account Gmail devi essere invitato da qualcuno che già ce l'ha. E fin qui tutto bene, anche se la cosa potrebbe essere criticabile. Ma le cose adesso finalmente cambiano! Dopo più di un anno di 'beta' (as usual) Google annuncia adesso che sarà possibile iscriversi a Gmail senza essere invitati! Basterà...fornire il proprio numero di cellulare. Il motivo? Solo così Google sa che a iscriversi è stata 'a real person'. "Sign up for Gmail" Posted by Keith Coleman, Gmail Product Manager It's pretty exciting to see those words on the Gmail homepage. For the last 16 months, a lot of people have been asking us how they can sign up for Gmail, and today we're happy to be able to say, "Just go to gmail.com." From there, you can get an invitation code sent to your mobile phone, and with this code, you can create a Gmail account. Once you have Gmail, you can try out our brand new IM and voice service, Google Talk. Why use mobile phones? It's a way to help us verify that an account is being created by a real person, and that one person isn't creating thousands of accounts. We want to keep our system as spam-free as possible, and making sure accounts are used by real people is one way to do that. We're also working on some new mobile features that will make your Google account more useful and secure, such as SMS alerts and password recovery. When you sign up using your mobile phone, you can choose to save your number with your account so you can use these features as soon as they become available. Right now, sign-ups only work with U.S. mobile phone numbers, but we're eager to support others. With Gmail now available in 29 languages (and counting), we're already working hard to bring you "注册 Gmail 邮箱," "Зарегистрироваться в системе Gmail," "Abra sua conta no Gmail" and many more. A parte il giudizio di 'not real person' per chi non possiede un telefono cellulare (francamente pazzesco), mi sembra evidente che questo sistema nulla ha a che fare con l'evitare lo spam (che cosa c'entra?), ma con il correlare gmail-google talk e numero di cellulare alla medesima persona (che cosa vuoi di più dalla vita?). Questa novità non sarà 'evil', ma non mi sembra molto 'fair'...Certo potete dire che uno può non aprirsi Gmail e usare un altro provider. Vero, ma fino a un certo punto; prevedendo l'enorme diffusione di GoogleTalk, ci sarà un momento in cui tutti più o meno saranno 'indotti' a utilizzarlo; un po' quello che è avvenuto con il 'passaggio' da icq a msn messenger. Tutti gli 'amici' con cui parlavo in ICQ (tranne qualche 'incorruttibile') adesso vogliono parlare solo con msn. Quando accadrà questo anche per GoogleTalk (che magari permetterà di telefonare pc2phone gratuitamente) allora accadrà che sarà obbligatorio iscriversi a Gmail (altra anomalia di questo messenger/futuro Voip) e quindi sarà necessario dare il proprio numero di cellulare. Tutto bene. Ma non ditemi che serve per vedere se sono una persona...reale.
A proposito di permission marketing
Oramai la parola permission marketing o se vi piace di più marketing collaborativo è entrato nel vocabolario di chi fa marketing digitale. Spero che oramai la maggior parte dei frequentatori di IMlog siano convinti che un marketing intrusivo, imposto non funziona. Ho avuto modo di scrivere in passato che la privacy debba a mio parere essere considerata un asset e non un vincolo, ecco perché ritengo che il meccanismo del doppio opt in sia veramente il minimo, da una parte per salvaguardare gli utenti e dall'altra per ottenere leads utili nel proprio database. Ricordiamoci che chi si iscrive ad una qualsiasi lista ci da un permesso che può:
L'utente deve a mio parere, avere la possibilità in ogni momento di modificare le sue preferenze e potere decidere se non ricevere più messaggi, aumentare o diminuirne la fruizione o modificare i contenuti che desidera ricevere. Ovviamente i messaggi devono essere strettamente attinenti al permesso ricevuto, ciò significa che se un utente ha acconsentito a ricevere informazioni commerciali relative alle promozioni di prodotti di abbigliamento, non è possibile inviare senza la sua autorizzazione informazioni di natura diversa. Per questa ragione ritengo che un marketer che si rispetti non debba fermarsi al doppio opt in, ma spingersi ancora più in profondità. In questo caso le domande da porsi devono essere quattro e non solo una relativamente al permesso. Desidera l'utente ricevere messaggi da parte nostra? (opt in) In questo modo se costruiamo una comunicazione integrata che non utilizza solo la posta elettronica, ma anche il cellulare, diamo un vero servizio ai nostri clienti attuali e potenziali. Che ne pensate? |