IMlog - Il blog di chi fa marketing online

Se non puoi sconfiggerli… fatteli nemici!

Stavo cercando su YouTube il video dell’ultima pubblicita’ Nike+, Men Vs Women.
Arrivo qui e mi accingo e vederlo, ma noto che non c’e’ il volume. Provo a cliccare sul pulsante ma non funziona, ed e’ in quel momento che noto un messaggio che non avevao mai visto: “NOTICE: This video contains an audio track that has not been authorized by WMG. The audio has been disabled. “

youtube_dmr
Le grandi case discografiche stanno facendo di tutto per combattere la rivoluzione digitale invece di farne parte, ma sono come quei soldati giapponesi che continuavano a combatter la seconda guerra mondiale nelle isole del pacifico negli anni 50: hanno gia’ perso e non lo sanno!

Il modo peggiore per salvarsi da una barca che fa acqua e’ tenere a bordo le cose pesanti. Che reazione puo’ avere un utente costretto a guardare uno spot “muto” perche’ una casa discografica non permette a nessuno di utilizzare una canzone per la quale, tra l’altro, i diritti sono stati pagati dal produttore dello spot?
E’ francamente ridicolo ed e’ quasi divertente vedere come cercano di tappare tutti i buchi, pur sapendo che per ogni buco che chiudono se ne aprono altri 1.000…

In ogni caso ecco il video originale:

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Un ruolo chiarificatore…

Se è probabile che i social networks, quantomeno quelli non specialistici e non legati ad alcuno scopo in particolare, vadano incontro ad una implosione dovuta all’eccesso di informazioni e all’eccesso di “amicizie” che una persona accetta (basta un click per accettare, come dire che non esiste quasi alcuna barriera ad accettare una persona - anche totalmente sconosciuta - nel proprio network), mi chiedo come possono le aziende avvicinarsi alle persone che nei social networks ci vivono, evitando di:

- rimanere intrappolate nelle confusione, senza emergere;
- aggiungere eccesso all’eccesso di comunicazione già presente;

Twitter è un caso, a mio parere, molto interessante e per certi versi opponibile a Facebook. Qui da noi si parla, come al solito superficialmente, quasi esclusivamente di quest’ultimo (perché ha raggiunto audience “importanti”) e si trascura tutto il resto (anche le forme del futuro). Anche su Twitter, comunque, c’è molta confusione…perché c’è tanto lifecasting, c’è tanta gente che è sul divano, sta bevendo un’aranciata, sta mangiando una mela, e deve necessariamente farcelo sapere. Non tutte le vite riescono ad essere interessanti allo stesso modo e c’è molta gente che, anche su strumenti “2.0″, mostra quel che la propria vita gli permette di mostrare; ma questo è un “fuori tema” (rispetto a questo post) che è legato a come viviamo, a quanto a lungo stiamo in ufficio, a quanto (poco) ci interessiamo alla nostra crescita e arricchimento personale (anzi a volte ci dedichiamo all’impoverimento, da cui i post su “sto mangiando un pizza, è molto buona”).
C’è però anche un’altra forma di condivisione su Twitter, che questo post del LA Times chiama mindcasting; si tratta di un modo per le persone di distillare i contenuti e i flussi informativi, rivolgendosi a fonti qualificate. Il punto è che Twitter, usato in questo modo, è “scienza”…nel senso che non è “avere sotto’occhio tutti i flussi informativi prodotti dal proprio network di amicizie reali/virtuali, anche quelli inutili” ma è “aprirsi ai flussi informativi di persone che non si conoscono necessariamente di persona, ma che possono produrre aricchimento, senso di ricevere novità, notizie riservate, in due parole notizie rilevanti”. E’ “scienza” perché non si tratta di accettare chiunque nel proprio network, ma si tratta di lavorare “quasi-scientificamente” alla scelta delle fonti.

Tornando alle aziende, la provocazione è quindi la seguente: i brand, secondo me, devono muoversi con un “ruolo chiarificatore” sui social networks; se ritengono di dover invece aggiungere chiasso o se non hanno il “materiale” per fare qualcosa di utile, devono invece starne fuori per evitare effetti controproducenti; il “ruolo chiarificatore” di cui parlo è quello che va contro alla tendenza in atto per cui ogni persona (o brand) che aggiungo al mio network è una potenziale fonte di confusione; un brand accettato nel proprio network dev’essere invece una fonte di chiarezza, perché:

- lancia messaggi che arricchiscono l’esperienza;
- comunica novità a cui c’è un motivo di interessarsi;
- lascia - al termine dell’esperienza - qualche valore;

Questi concetti sono - credo - banali, nel senso di basilari per ogni tipo di comunicazione uno-a-uno e uno-a-molti; il significato è che i brand devono distinguersi dal flusso dell’inutilità, anziché cercare di specularci sopra con altrettanto inutili scambi di gadget (il che è controproducente, ha un effetto che finisce presto e non lascia nulla nella mente delle persone da cui ci si vorrebbe far ricordare). Credo che anche i brand abbiano la responsabilità di comportarsi in maniera evoluta rispetto a masse che invece non lo fanno. Per cui, se è la confusione che regna e che rischia di far implodere i social networks, un ruolo utile per i brand (e non solo, ma per loro è utile nel senso che li può aiutare a fare business) è quello di comportarsi in maniera opposta all’utilizzo dominante di questi strumenti, anziché sfruttarne le distorsioni.

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Google Q4 earnings for dummies

Via Totale

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iPhone Vs Women

dilbert_phone

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Spot Samsung solo per techies

Uno spot molto 2.0 rivolto ad un segmento del mercato difficile da raggiungere. Ben fatto anche se fatto male! :)

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Condividere la conoscenza è un fatto di pragmatismo…

In questi giorni si è parlato discretamente - nel nostro piccolo orticello mediatico - della sentenza che di fatto permette a RCS di riprendere da Mediaset i video che desidera, se c’è di mezzo il diritto di cronaca; diritto di cronaca che invece non si applica a trasmissioni di intrattenimento come il Grande Fratello (tant’è che la sentenza ha deciso che, dei 59 video che Mediaset chiedeva di rimuovere, solo 4 - proprio quelli del GF - dovevano essere tolti perché per essi non sussiste il diritto di cronaca). Non credo ci sia molto da interpretare; la sentenza, pur riconoscendo l’esistenza della proprietà intellettuale, sembra dire che il diritto di cronaca prevale sugli altri diritti.

Nei giorni in cui sento parlare di tutto ciò, scopro che un grande network internazionale ha pubblicato sotto licenza Creative Commons i video di copertura della guerra di Gaza. Grande network, ma non network occidentale: si tratta di Al Jazeera. Non sono al corrente di altri esempi di tale pragmatismo, ad esempio da parte di realtà come la CNN o la BBC (segnalazioni in senso contrario saranno benvenute). Il principio è semplice: far propagare la conoscenza e farlo in modo che la fonte di tale conoscenza sia identificabile, va pragmaticamente a beneficio della notorietà di chi offre questa possibilità, ne incrementa la credibilità - come fonte di informazioni - sia nella comunità di cui fa parte (i video di Al Jazeera sono stati ripresi ad esempio dal TG3, quindi da colleghi) sia nella comunità degli utenti finali. E a cosa di più alto può ambire un network di informazione o un produttore di contenuti?

[Continua...]

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Di nuovo su Wired

Scopro, tramite Manteblog, che Wired (cartaceo) e Wired.it hanno diverse direzioni e diversi direttori. Riccardo Luna aveva già sottolineato la cosa, mentre rispondeva al dibattito nato in Rete su Wired, per spiegare che egli parlava solo in relazione alla parte “di carta”. Comunque, a dirigere Wired.it è Isabella Panizza Cutler (giornalista che ha scritto per…Vogue e Vanity Fair). Cercherò di non giudicare con superficialità, ma per quello che posso vedere l’edizione online di Wired desta perplessità per l’impatto della pubblicità sui contenuti e per il fatto che non sembra ci sia l’intenzione di mettere un limite all’invadenza degli inserzionisti (full sponsorship; background che spuntano da sotto, da destra e da sinistra; Widget scaricabili sponsorizzati). Va tutto bene, concettualmente, purché una forma così invadente e dequalificante per il prodotto editoriale venga fatta al massimo una volta al mese, nell’interesse degli inserzionisti stessi (la gente impara molto in fretta ad annoiarsi a causa di una pubblicità onnipresente e inflazionata).

[Continua...]

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Effetto palla di neve

cclogoChe cosa succede quando il secondo retailer di elettronica del mercato americano Circuit City fallisce?

Ecco un’ottima sintesi degli effetti della chiusura sugli stakeholder (si può dire/scrivere? Meglio “portatori di interessi”?). Samsung e HP pare vantino $240m di credito :O

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E via al restyle per l’home di Facebook

Sembra di essere tornati indietro di qualche anno quando ogni aggiornamento sull’offerta di Google diventava notizia, ed infatti :) … pare che Facebook stia per lanciare un importante restyle della sua home page.

Da quello che è possibile vedere qui mi sembra un lavoro ben fatto di razionalizzazione, ma … posso fare una previsione? Agli utenti non piacerà :D

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I vari formati del declino…

Le performance delle principali forme di advertising online mi sembrano continuamente decrescenti. Limitandosi al classico click-through rate, le cose mi sembra andare sempre peggio. Passando ad indicatori più “sofisticati”, ma che ormai alcune aziende cominciano a misurare ex post (ad es. brand awareness, propensione all’acquisto), la situazione si fa probabilmente ancor più difficile per l’advertising online. Le attività display classiche (banner o formati più o meno impattanti) ne escono “malino” (quando non malissimo) anche su questi indicatori. Il direct e-mail invece regge ancora, per utilizzi tattici. Il modello dei due strumenti appena citati è tra l’altro ancora quello dell’interruzione. Il navigatore sta facendo qualcosa e un’azienda cerca di spostare la sua attenzione su qualcosa d’altro. Per questo il Search invece continua a dimostrare di funzionare, sia per la flessibilità gestionale, sia per il fatto che i link sponsorizzati sono una interruzione minima del flusso di azioni che il navigatore sta compiendo. Egli sta cercando qualcosa, attivamente, per cui non c’è interferenza in un risultato di ricerca (anche se a pagamento) che mostra informazioni pertinenti alla richiesta e soprattutto permette al navigatore di continuare a fare quel che già sta facendo: navigare intorno e dentro un tema specifico. Sembra che anche la brand awareness e la propensione all’acquisto abbiano un beneficio dalla pertinenza di questo strumento, anche se si tratta di semplici link sponsorizzati.

Il problema è l’innovazione nei modelli di comunicazione, cosa che non sta avvenendo. La risposta al calo di performance dei formati standard è l’introduzione di formati maggiormente invadenti, ma sempre fuori contesto e sempre interruzioni del flusso di navigazione.
Mi pare superfluo dire che anche i formati video online, per quanto in grado di rafforzare un messaggio se pianificati in maniera coordinata con altri mezzi prettamente visivi (come la TV), mantengono invariati i limiti suddetti; rimangono strumenti dotati delle tipiche aree di inefficienza di altri mezzi come la TV, aree che l’advertising digitale prometteva di risolvere grazie alla tecnologia e ad una sorta di razionalità intrinseca al modo d’essere del mezzo (che sarebbe dovuta discendere a cascata anche sul modo di utilizzarlo per comunicare).
Il mio parere, molto semplice in proposito, è tutto legato al concetto di rilevanza…con in più una estensione:
- Non basta essere rilevanti con un messaggio, ma bisogna esserlo anche nel contesto giusto e nel modo più idoneo in rapporto a quello che una persona sta facendo.
- Non bisogna “parlare d’altro” a chi sta navigando ma bisogna che il messaggio sia il naturale proseguimento di quello che una persona sta facendo (come sembra promettere di fare Dapper).
- Non bisogna inflazionare una pagina web con troppe posizioni a inframezzare i contenuti ma bisogna essere il più possibile armonici con i contenuti, nonché rispettosi di chi legge.

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