IMlog - Il blog di chi fa marketing online

Earned media vs. paid media

Quello degli earned media è un concetto nient’affatto nuovo: è lo scopo che si assegna tipicamente alle azioni di PR, dove il fine è guadagnare spazio sui media (publicity), senza acquistarlo in senso letterale (che l’acquisto poi sia misurato in pixel, centimetri, moduli o secondi, è poco rilevante).

Gli earned media non rappresentano quindi una forma di pubblicità (intesa di nuovo come publicity, non come advertising) specifica del marketing digitale, ma allo stesso tempo è tramite strumenti online (sociale networks in senso esteso) che azioni di PR “innovato” stanno prendendo forma e acquistando peso.

Qual è quindi il ruolo dell’agenzia media - storicamente legata ai paid media - in questo scenario? Il punto è molto semplice: come il marketing digitale avrà investimenti in tutta probabilità crescenti nel tempo, con la stessa probabilità la quota di questi investimenti sarà più frammentata (alla luce della frammentazione dei player che lavorano in questo settore, rispetto agli altri mezzi) e la quota di crescita non sarà la stessa per tutti i player.
Ad essere privilegiati saranno i creatori di strategie/tattiche e contenuti finalizzati a guadagnare spazio sui media, nonché gli inventori di piattaforme per la misurazione di questo genere di attività.

L’agenzia media, in questo processo, potrebbe quindi trovarsi ad essere la parte più sfavorita, nonostante sia attrezzata, per lo meno come professionalità, anche per fare qualcosa di diverso dal semplice planning/buying. Questo accade perché l’agenzia, pur avendo una visione olistica e - ufficialmente - neutrale rispetto ai media, dall’altro lato è spesso legata a una visione riduttiva di Internet - e di tutte le attività digital in generale - come di spazio da comprare facendo leva sul potere monetario (il budget) dei propri clienti. L’impostazione suddetta si ritrova anche nel ruolo in cui l’agenzia viene confinata da alcuni clienti, i quali si affidano ad altri fornitori per le attività che agli albori - quando non si parlava ancora di 2.0 e social media - chiamavamo below the web (parafrasando il below the line).

Quindi, nello scenario degli earned media - ripeto non nuovo ma solamente rinsavito grazie a Internet e agli strumenti digitali - non è il solo potere monetario a contare ma è la rilevanza del messaggio, l’importanza per le persone, la sua utilità per i singoli e la sua “sociabilità” (predisposizione ad essere diffuso presso una sfera di conoscenze/network).
Una realtà molto semplice, sulla quale secondo me ci si interroga poco, anche a proposito dell’impatto che questa avrà sul business del futuro (se il ruolo di “centrale acquisti” dovesse divenire meno centrale…?).

A un certo punto sarà necessario (finalmente) imparare come guadagnarsi spazio anziché comprarlo solamente, diminuendo eventualmente anche il peso dei media(tori) tra sé (azienda, marchio, prodotto) e il destinatario. Se il messaggio è rilevante, il quantitativo di media(tori) da coinvolgere sarà inferiore in termini di pressione/visibilità; esiste probabilmente un rapporto inverso tra consistenza di un messaggio e investimenti necessari per propagarlo.

Le vie per guadagnarsi spazio rimarranno comunque moltemplici, una delle quali - la prima? - sarà costruire prodotti che comunicano valori intrinseci, anziché costruire prodotti “poveri” e demandare all’advertising il compito di costruirci sopra qualcosa di significativo/utile/positivo.
Di sicuro però non sarà più sufficiente solamente il potere d’acquisto dell’investitore pubblicitario sul mercato dei media (ammesso che lo sia mai pienamente stato e non sia stata tutta un’illusione data da mancanza di alternative - le quali stanno emergendo).

p.s. il tema earned media vs. paid media è tornato “caldo” per via di un keynote durante la Ad Age Digital Conference.

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Semplicemente fastidio…

Forse lascia un po’ il tempo che trova che i pubblicitari, una volta nella vita o una volta all’anno, si sensibilizzino eticamente e poi tornino a fare il loro mestiere di sempre (e ovviamente parlo prima di tutto del sottoscritto); mi sento però di condividere l’opinione di Michele Ficara Manganelli a proposito del terremoto di ieri notte e dell’uso che qualcuno fa/farà dei prevedibili aumenti di traffico sui siti di informazione (a beneficio di inserzionisti, magari alcuni ingenuamente inconsapevoli di questi meccanismi un po’ macabri). Amara ironia: pensavo con un po’ di humour (anche se gli avvenimenti non fanno ridere) ai funzionari di concessionarie che il mese prossimo verranno a venderci incrementi di traffico sui loro siti.
Siamo un po’ delle figure ambigue e speculari e facciamo tutti lo stesso gioco: fare leva sui fenomeni - di qualunque genere - e volgerli a favore di qualcuno (in genere pagante). Non si può negare che anche questo costituisca l’essenza del nostro lavoro. In un sistema sano, ovviamente, nessun inserzionista ci chiederebbe di fare ciò che non vorrebbe venisse fatto a egli stesso (come persona) e noi ci rifiuteremmo di fare ciò che non vorremmo ci venisse fatto (sempre come persone). In un sistema sano ci sarebbero comportamenti esemplari e persone desiderose di testimoniare con esempi positivi, per l’utilità generale e il miglioramento di tutto il sistema (pubblicitario, ma non solo quello). Ovviamente siamo molto lontani da tutto ciò, il che però non mi scandalizza come manifestazione; mi inquieta però la naturalezza con cui questi meccanismi speculativi sono entrati nel DNA delle cose e della cultura che ci costituisce.
E questo pone l’accento anche e sempre sull’informazione (ultimamente un po’ presa di mira per il suo sostanziale progressivo vanificarsi come sistema di fare affari); prolungare il racconto di un evento, indugiare in dettagli e in apparentemente genuini report dal tono caldo e umano (sentimentale), può essere solo una forma di amplificazione del messaggio con secondi fini. Forse dovremmo cominciare a dire agli inserzionisti che associarsi a questi veicoli pubblicitari è controproducente.

Aggiornamento, sul tema, via Manteblog: il TG1 si auto-compiace degli ascolti che ha capitalizzato grazie ad un evento che, ad ora, conta 200 e passa morti e un migliaio di feriti; sentiti complimenti da tutta la blogosfera che, invidiosa, non potrà mai contare quanto il loro share a due cifre con tanto di decimali (vedere per credere, io ho sperato fino in fondo ad una gag di humor nero).

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Aiuto, mi si e’ rovesciato YouTube :)

Massimo dice che Google ormai non ha piu’ l’eta’ per il pesce d’aprile. Ma siccome YouTube e’ di Google devo dire che non sono d’accordo, perche’ questo mi sembra un ottimo April’s fool (clicca sull’immagine):

youtube_april_fool:

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Se avete 60 minuti da dedicare a “Larry”…

Se avete 60 minuti e non sapete cosa farne…no ok, così vi dissuado per il semplice fatto che per voi stare davanti al pc per 60 minuti fissando un video che richiede la vostra attenzione magari è qualcosa di non praticabile, non in linea con il comportamento medio dell’internauta che si nutre di hyperlink e salti cognitivi (andare di palo in frasca, piacevole a volte, e in Rete viene anche bene).
Ma, questo video è davvero interessante, e merita una pausa di attenzione; è la presentazione di Lawrence Lessig a Meet the Media Guru…anzi…per la precisione non è la ripresa video dell’intervento di Milano, ma è la stessa presentazione supportata dallo stesso materiale visivo che “Larry” ha presentato venerdì sera, il quale evidentemente egli aveva già preparato per altre occasioni e già presentato ben più di una volta.
E’ un discorso molto pulito, presentato da una faccia pulita, da un vero esperto di diritto della Rete che sta compiendo un percorso interessante. Dal generale al particolare, per tornare al generale. Lawrence Lessig ha creato Creative Commons, che è l’idea di rendere più democratico il mondo della creatività, restituendo ai creatori il controllo sulle proprie opere (e sottraendolo alle “oligarchie”). Adesso si è trasferito nel mondo della democrazia, quella “vera”, creando change-congress.org, organismo per la trasparenza nella politica ma soprattutto per la sottrazione del controllo della vita democratica di un “grande” paese dalle mani di un’altra categoria di oligarchi, i lobbysti.

p.s. avrei voluto fare l’embed del video, ma evidentemente ho qualche impedimento…Matteo please, help me :-)

Update: et voila’ :)

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Un’istantanea della blogosfera italiana (?)

Uno mi scrive, su Facebook, come mai non lo seguo su Twitter, visto che lui mi segue…

L’altro si vanta del numero di “amici” raggiunti su Facebook.

Mah…

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Mini (fake) viral

Che strana sensazione ritrovarsi in un viral… :)

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Google promuove Chrome grazie alle idee degli utenti

Google sta cercando di spingere il proprio browser, Chrome, in diversi modi.
Alcuni sono un po’ 1.0, come il link su YouTube che invita a provare Chrome, o altre forme di advertising.
Altri sono molto piu’ divertenti e soprattutto molto piu’ in stile Google.

Uno di questi e’ la competition su Zooppa, anche se i risultati per ora sono piuttosto deludenti.
Un altro e’ Chrome Experience, una nerdissima raccolta di esperimenti in javascript.
Quello del seguente video secondo me e’ meraviglioso, provatelo qui.

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Fate un’opera buona…

Pubblicato ieri su Advertising Age con il titolo “Do some good, create newspaper Ads“, l’articolo si sofferma sul fatto che bisogna far lavorare fotografi, illustratori, pubblicitari…insomma tutta la categoria professionale che vive intorno alla pubblicità classica e quindi resiste al cambiamento…e poi sembra lo stesso articolo sembra dire “chissenefrega” dell’inserzionista che acquista la pubblicità, della sua riluttanza ad investire su un mezzo affollato di pubblicità quale la carta stampata, o della difficoltà di misurare il ROI di tali strumenti; nell’articolo non vi è alcun ripensamento sulla qualità della pubblicità sui giornali e sui problemi che l’affliggono. Nessun dubbio, l’importante è che l’industria vada avanti come è sempre andata.
Nell’articolo ci si interroga anche su quale giornale potrebbe fare reportage da luoghi di guerra o altri servizi importanti senza una fonte certa di redditività (che sarebbe la pubblicità); dal punto di vista contabile non fa una piega, peccato però che il mondo non abbia bisogno di un industria dei giornali, la quale non è iscritta nel DNA del nostro pianeta e delle persone che lo abitano, ma semmai ha bisogno di informazioni, notizie contestualizzate e storie; purtroppo non ricordo più dove, ma ho letto che negli Stati Uniti, da quando c’è la crisi, è aumentato il numero di studenti aspiranti giornalisti. Segno dei tempi; se ci sono storie da raccontare, se la realtà è sfaccettata e merita di essere raccontata, allora succede che aumenta il numero di chi desidera raccontarla, anche a costo di rischiare di doverlo fare gratis. L’altro problema è che i giornali non sempre sono “scuole” su come si devono creare contenuti “di cui il mondo ha bisogno”, ovvero giornalismo d’eccellenza. Non è purtroppo così e inoltre un giornale inteso come “organizzazione” può difficilmente - secondo me - rispondere alle esigenze “vere” di un’informazione fuori dal controllo, aperta e malleabile. La presenza/assenza di tutto questo non è merito/colpa della pubblicità. Da “pubblicitario” vorrei vedere ricondotta la nostra professionae a più realistiche ambizioni, e ad una più realistica percezione di sé e del ruolo che svolge.

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Ricerca Social Media 2009

frozen_frogs_ricercaGianluca mi aveva mandato una mail un bel po’ di tempo fa per segnalarmi la ricerca di Frozen Frogs sui social media, ma ero appena tornato dalle vacanze ed ero impegnato a combattere contro la mia inbox.
Oggi ho avuto tempo di guardarla e credo ci siano diversi spunti interessanti, in particolare, almeno per me, riguardo ai brand.

La ricerca puo’ essere visualizzata qui e anche scaricata in pdf.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

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Little Gordon

Non so se tutti conoscono Gordon Ramsey, famoso chef e personaggio televisivo in UK.
Se lo conoscete pero’ questi viral non potranno non farvi sorridere.

Sono stati prodotti da Rebel Virals per Caterer.com.
Qui trovate tutti e 3 i video.

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